Il numero di giugno del Journal of Environmental Monitoring dedica la copertina della prestigiosa rivista scientifica al lavoro del team di ricerca dell’Università di Padova coordinato dai professori Vincenzo Girolami, Dipartimento di Agronomia ambientale e produzioni vegetali, e Andrea Tapparo, Dipartimento di Scienze Chimiche.
Negli ultimi dieci anni in alcune aree degli Stati Uniti, Europa e Giappone il fenomeno della riduzione delle api ha interessato il 40-60% del patrimonio apistico, con gravi conseguenze non solo per l’apicoltura, ma anche per la produzione agricola e l’ecosistema in generale dato il ruolo svolto dagli insetti nell’impollinazione. Gli esperti del settore hanno denominato il fenomeno “Colony Collapse Disorder” (CCD) o sindrome da spopolamento delle colonie, avanzando varie ipotesi.
In Italia nel 2008 è stato avviato il progetto di ricerca APENET e sospeso in via precauzionale l’utilizzo delle sementi del mais conciate con gli insetticidi neonicotinoidi. Uno dei principali obiettivi del progetto APENET era proprio quello di indagare le cause delle morie di api osservate in coincidenza con le semine del mais (conciato con insetticidi neonicotinoidi) impieganti seminatrici pneumatiche.
L’ipotesi oggi accettata in tutta Europa è legata alla emissione di particolati solidi di frammenti della concia dei semi di mais che ricadono sulla vegetazione dei campi vicini inquinando i fiori spontanei e contaminando così le api. Tale meccanismo è però messo in dubbio dal fatto che la concentrazione di insetticidi riscontata nella vegetazione circostante (o nel polline dei fiori o nella rugiada) non supera mai qualche decina di ppb. Per giustificare la morte delle api con quantità di insetticidi molto basse (inferiori a quelle che provocano intossicazioni acute) in tutta Europa si è accettata l’ipotesi che le api avvelenate con dosi subletali possano perdere l’orientamento e non ritrovare l’alveare contribuendo alla sindrome dello spopolamento degli alveari (Colony Collapse Disorder).
Il Gruppo di Ricerca dell’Università di Padova, coordinato dai professori Vincenzo Girolami, Dipartimento di Agronomia ambientale e produzioni vegetali e Andrea Tapparo, Dipartimento di Scienze Chimiche, ha ipotizzato la presenza in campo di fonti ignote di contaminazione acuta e letale per le api in qualche modo legate all’impiego di sementi conciate con insetticidi.
Un primo risultato è stata la scoperta che le gocce di guttazione (emesse in punta alle foglie di giovani piante di mais, spesso confuse con la rugiada) contengono concentrazioni elevate, anche centinaia di ppm, di insetticidi impiegati nella concia dei semi se appartenenti al gruppo dei neonicotinoidi: questi insetticidi essendo idrosolubili entrano in circolo nella pianta e sono quindi parzialmente rilasciati attraverso le guttazioni. Qualsiasi insetto che ne venga a contatto non sopravvive. Poiché le api sono risultate poco inclini a dissetarsi con le gocce di guttazione, si sono ipotizzate ulteriori fonti di intossicazione acuta. Si è scoperto così che la vera fonte di contaminazione delle api è dovuta al contatto diretto in volo, vicino alle seminatrici in azione, con le particelle da queste emesse. Si noti che le api per raccogliere in primavera nettare e polline su tarassaco, colza, pruni, ciliegi, etc, devono spesso attraversare campi destinati a mais con continui andirivieni e conseguenti alte probabilità si intercettare una seminatrice (questa impiega circa un ora per seminare un ettaro).
Le quantità di insetticidi rinvenuti sulle api (morte successivamente), anche dopo un solo volo vicino alla seminatrice, sono comprese tra circa 50 e 1000 ng per ape, con una punta massima da noi riscontrata di 11 µg/ape. Tali quantità sono pertanto 103-105 volte superiori alle dosi subletali ipotizzate per spiegare le morie delle api.
Sull’argomento il Gruppo di Ricerca ha prodotto due lavori e ha già completato le sperimentazioni per quantificare correttamente le emissioni in atmosfera prodotte delle seminatrici, argomento questo oggetto del prossimo manoscritto a carattere analitico-ambientale.
Tra i vari risultati ottenuti è rilevante sottolineare anche la messa a punto un semplice test biologico per saggiare l’effettiva intossicazione delle api in vicinanza delle seminatrici i cui risultati sono in ottimo accordo con i dati analitici di emissione e/o di ricaduta delle particelle originate con la semina. È stata inoltre sperimentalmente dimostrata l’ipotesi che l’ape contaminata può “eliminare” (ovvero metabolizzare sia in vita che post mortem) quantità significative di neonicotinoidi che l’hanno portate a morte (100-150 ng/ape), aspetto questo che spiega il perché spesso in passato campioni di api morte siano risultati negativi ai test chimico-analitici.
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