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No del mondo scientifico all’uso degli antimicrobici in Apicoltura

Lo scorso settembre, a Buenos Aires, in Argentina, si è tenuto il 42° Congresso Internazionale di Apicoltura.

Studiosi da tutto il mondo si sono riuniti per trattare temi riguardanti la pratica dell’apiterapia, la biologia dell’ape, gli aspetti economici, lo sviluppo del settore apistico e le sue ricadute sul comparto rurale, la tecnologia produttiva e qualità dei prodotti, l’allevamento apistico ed impollinazione, nonché la sanità degli alveari.

Pressoché unanime la condanna del mondo scientifico nei confronti dell’utilizzo di antibiotici in apicoltura e svariate le proposte di percorsi alternativi efficaci nel controllo delle patologie dell’apiario.

Interessante la relazione di Sona Dubna dalla Repubblica Ceca che mette in evidenza come il tratto digestivo delle api contenga una grande riserva di microrganismi con potenziale effetto antagonista nei confronti delle malattie delle api.

Nulla di nuovo se si pensa alle altre specie animali, in apicoltura, tuttavia, tale evidenza sottolinea ulteriormente il danno creato dall’utilizzo degli antibiotici: non solo farmaco-resistenza, non solo presenza di residui nel miele, non solo, come nel caso della peste americana, vengono mascherati i sintomi della malattia senza una eradicazione della stessa, ma addirittura l’utilizzo dell’antibiotico potrebbe creare le condizioni per l’insorgenza della malattia mediante indebolimento/distruzione della flora competitiva.

Nello specifico sono stati isolati alcuni ceppi di lattobacilli con effetti antagonisti nei confronti di Paenibacillus Larvae. Un importante ruolo nel controllo delle patologie dell’alveare è da attribuire anche a sostanze presenti negli stessi prodotti che le api consumano, polline e propoli (Katarina Bilikova, Slovakia), nonché ovviamente all’applicazione di buone pratiche operative in apiario.

A tal proposito Zlatko Tomljanovic, Croatia, nel proporre delle linee guida che egli stesso ha messo a punto, coglie l’occasione per sottolineare l’importanza ed insostituibilità del veterinario nello studio delle patologie delle api, come già emerso nel corso della tavola rotonda “Veterinarians and beekeeping” tenutasi durante il 41° congresso di Apimondia, a Montpellier, Francia, nel 2009.

Allo stato attuale, per quanto riguarda la sanità della popolazione apicola, diversi relatori hanno evidenziato un decremento dei casi di Colony Collapse Disorder (CCD) spesso accompagnato da un incremento dei casi di patologie specifiche.

Alcuni lavori inoltre sono stati dedicati alla presenza di alcaloidi pirrolizidinici nel miele. Questi ultimi e le sostanze che ne derivano rappresentano un gruppo di metaboliti secondari delle piante che possono risultare epatotossici.

In alcuni casi sono stati descritti anche effetti genotossici e carcinogenici. Kurt-Peter Raezke, dalla Germania, riferisce che sono già stati isolati più di 350 di questi alcaloidi, la metà dei quali risulterebbe dannosa per l’organismo.

Gli attuali metodi di indagine hanno permesso di accertare la presenza di diversi di questi alcaloidi, in differenti concentrazioni, in mieli provenienti da ogni parte del pianeta. Risultando però piuttosto difficile la messa in evidenza di queste sostanze già nel corso della attività di produzione del miele, è necessario che quanto prima si possa disporre di metodi di indagine adeguati.

A riguardo sono state avanzate varie proposte oggetto di sperimentazione.

Altra problematica emersa riguarda una sentenza della Corte di Giustizia europea dello scorso 6 settembre, la quale prevede che miele e polline contenenti tracce di OGM non possano essere commercializzati senza autorizzazione (in base a quanto previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera c del regolamento 1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati).

Sempre in relazione alla normativa vigente in materia, il produttore di miele è altresì obbligato a segnalare in etichetta la presenza di pollini provenienti da organismi OGM. La Corte ha aggiunto inoltre che l’obbligo di autorizzazione permane anche in caso di contaminazione accidentale e prescinde dalle quantità in gioco, in quanto non sono previste soglie di esenzione, così come per l’etichettatura dei prodotti.

Appare evidente come detta sentenza possa avere delle importanti ricadute, se non proprio in Italia, quantomeno in quei paesi dove è consentita la coltivazione degli OGM. Quanto sopra è attualmente oggetto di valutazione da parte della Commissione europea.

Ufficio stampa Fnovi

 

Info Redazione

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