Introduzione
Il veleno d’api o apitossina, è un fluido complesso secreto dalla ghiandola velenifera situata nella cavità addominale e iniettato nelle vittime da un pungiglione. La puntura provoca dolore, infiammazione locale, effetto anticoagulante e risposte immunitarie. I costituenti del veleno d’api comprendono peptidi, di cui quelli principali sono la melittina e l’apamina, enzimi come la fosfolipasi A2 e piccole ammine bioattive come l’istamina e le catecolamine. Il veleno è stato tradizionalmente utilizzato in agopuntura e apiterapia, consistente nella sua iniezione al paziente come analgesico, contro il dolore cronico e l’infiammazione, e per altri scopi come l’immunoterapia e il trattamento di Parkinson. Sono stati riportati numerosi effetti antitumorali, insieme a proprietà antimutageniche, antidolorifiche e radioprotettive.
È stato introdotto l’uso farmaceutico approvato del veleno d’api, mentre sono stati fatti tentativi di validazione del trattamento clinico per il dolore cronico. Tuttavia, come detto i diversi costituenti del veleno d’api sono allergenici e in soggetti ipersensibili si può arrivare alle fatalità, Questo limita l’uso diretto degli insetti vivi come agenti “farmacologicamente” attivi. Anche l’estratto può rivelarsi allergenico, dato che la PLA2 è un allergene maggiore del veleno. Nel veleno dell’ape ci sono almeno un’altra decina di componenti, ma solo i principali saranno trattati, assieme alle proprietà biologiche e le possibilità terapeutiche da esplorare.
Melittina
La melittina è un peptide di 26 aminoacidi, con attività biologiche distinte e ha suscitato molto interesse dal punto di vista farmacologico e biotecnologico. Il meccanismo di tossicità consiste nella distruzione delle membrane cellulari, portando alla lisi cellulare e al rilascio di composti nocivi ai tessuti come enzimi lisosomiali, serotonina e istamina, scatenando infiammazione e dolore. Insieme alla ialuronidasi e fosfolipasi A2, la melittina è responsabile delle proprietà allergeniche del veleno. Sembra anche una delle principali cause di induzione del dolore da parte del veleno stesso. In contrasto con la sua tossicità, la melittina è conosciuta come un tradizionale rimedio antinfiammatorio per varie malattie, come dermatite, polineurite, artrite ed anche sclerosi multipla.
Ma il meccanismo d’azione a livello cellulare non è stato chiarito. Alcuni Autori hanno sospettato che la proteina possa aggregarsi e formare strutture tipo canale ionico, regolando il flusso di certi elettroliti come calcio e potassio. Oppure ci potrebbe essere la modulazione diretta su canali ionici che regolano la sensibilità del dolore (soprattutto quelli del potassio). La capacità di interagire con le membrane biologiche conferisce forti proprietà antibiotiche alla melittina, che hanno attratto l’interesse per la lotta contro i patogeni umani, come lo stafilococco multi-resistente (MRS). Le attività antitumorali della melittina sono state riportate da diverse fonti, mentre i tentativi di chiarire i meccanismi molecolari sono stati fatti con studi in vitro.
Apamina
L’apamina è un piccolo peptide di 18 aminoacidi. Esercita un meccanismo di tossicità altamente specifico, costituito da un blocco di canali di potassio (canali SK), espressi nel sistema nervoso centrale e in altri distretti, come il sistema cardiovascolare e la muscolatura liscia. A causa della sua capacità di selezionare selettivamente i canali SK del potassio, l’apamina è stata usato come strumento per la caratterizzazione fisiologica di questo tipo di corrente. Su una base farmacologica, tale proprietà è stata adottata come un paradigma esplicativo, per accumulare prove che l’apamina facilita l’apprendimento e la memoria.
L’apamina può attraversare la barriera emato-encefalica e la sua somministrazione agli animali migliora i deficit cognitivi, suggerendo che i canali SK del potassio sarebbero appropriati bersagli nel trattamento dei disturbi della memoria. I canali SK sono noti per essere coinvolti nel morbo di Parkinson. Coerentemente con questa premessa, un’importante prospettiva per gli usi neuro-terapeutici dell’apamina deriva dalla sua capacità di proteggere i neuroni dopaminergici dalla degenerazione in modelli sperimentali di Parkinson. Inoltre, è stata esplorata la possibilità di utilizzare analoghi apaminici o meno tossici verso la barriera emato-encefalica e navette per il rilascio di farmaci.
Fosfolipasi A2
La fosfolipasi A2 (PLA2) idrolizza i lipidi complessi per produrre un acido grasso e vari prodotti di reazione, inclusi acido lisofosfatidico, lisofosfatidilcolina e sfingosina fosfato. Questi ultimi esercitano effetti citotossici e immunostimolatori su vari tipi di cellule, scatenando infine risposte immunitarie e infiammazioni. La fosfolipasi A2 è il principale allergene del veleno d’api e ha epitopi riconosciuti da soggetti allergici e non allergici. Tuttavia, la PLA2 ha anche proprietà traducibili in trattamenti terapeutici. Ha esercitato effetti neuroprotettivi in un modello murino del morbo di Parkinson attivando i linfociti T regolatori (Treg) che sono noti per mediare la tolleranza immunitaria periferica. La somministrazione sistemica di PLA2 a un modello animale di dolore neuropatico ha alleviato l’allodinia fredda e meccanica attraverso l’attivazione dei recettori alfa2-adrenegici. È stato inoltre dimostrato che la PLA2 agisce in cooperazione con fosfolipidi nell’indurre la morte in vitro di diverse linee cellulari tumorali.
Applicazioni terapeutiche
Un impiego già noto dell’apiterapia è il trattamento della sclerosi multipla. La terapia di questa patologia ha dei cardini stabiliti ma sono tutti provvisti di effetti collaterali. La letteratura scientifica ufficiale riporta accenni sin dagli anni Sessanta e Settanta ma nessuno studio controllato è stato fatto sino al 2005. Alcuni ricercatori riportano che dopo 3 mesi di trattamento con terapia standard o apiterapia, non si è riusciti a notare una differenza o miglioramenti clinici. Un altro studio del 2005 ha riportato sicurezza del trattamento con veleno d’api in soggetti affetti da SM di età compresa fra i 21-55 anni. Su tredici soggetti testati, 4 hanno avuto peggioramento dei sintomi, cinque hanno tratto beneficio personale e solo due hanno avuto evidenza clinica dimostrabile. Studi più diretti eseguiti su ratti di laboratorio sono stati pubblicati nel 2010 e nel 2012.
Ci sono autori che stanno lavorando sulla possibilità che l’apiterapia possa essere utile nel dolore post-ictus. Dopo un ictus cerebrale, spesso i pazienti sono soggetti a dolori neuropatici dipendenti dalla lesione centrale e spesso i comuni analgesici non hanno un effetto netto sul dolore. Questo inficia, quindi, la qualità di vita. Un caos sperimentale del 2010 di due pazienti donne con ictus trattate con apiterapia ha fatto registrare miglioramento in entrambe senza effetti collaterali. Nel 2013 è stato pubblicato il primo trial controllato su otto pazienti con ictus comparati ad 8 controlli. Tutti i pazienti hanno ricevuto beneficio, che è stato moderato solo in due di essi. In uno studio clinico controllato randomizzato in singolo cieco (Cho et al. 2013), i ricercatori hanno reclutato 20 pazienti che soffrivano di dolore centrale post-ictus.
Questi pazienti sono stati iniettati con veleno d’ape o soluzione fisiologica ai punti terapeutici due volte a settimana per 3 settimane. Dopo il trattamento, il gruppo con iniezione di veleno d’ape ha mostrato diminuzioni più pronunciate nei punteggi della scala analogica visiva (VAS) rispetto al gruppo con iniezione di soluzione salina. Una revisione sistematica pubblicata diversi anni fa, ha esaminato 138 potenziali articoli, in cui solo quattro erano studi randomizzati e controllati che soddisfacevano i criteri dei ricercatori. La revisione ha dimostrato che l’iniezione con veleno d’ape era più efficace dell’iniezione con soluzione salina (placebo) nel ridurre il dolore alla spalla post-ictus (Lim e Lee, 2015). Sicuramente più efficace e numerosa sembra la casistica associata al trattamento dell’osteoartrosi del ginocchio.
In uno studio del 2001, 60 pazienti con osteoartrosi del ginocchio hanno ricevuto puntura di api due volte a settimana per 4 settimane e si è dimostrata più efficace dell’agopuntura tradizionale per alleviare il dolore. In un altro studio molto più recente (2019), 538 partecipanti hanno ricevuto iniezioni cutanee settimanali di BV o istamina. Dopo 12 settimane, il gruppo di bioterapia con BV ha mostrato un notevole miglioramento rispetto al gruppo di controllo nell’Ontario occidentale e nei punteggi del dolore McMaster Universities Arthritis Index (WOMAC). Un altro studio comparativo del 2012 ha rivelato che una combinazione di iniezione intra-articolare con iniezione intra-acupoint era più efficace dei trattamenti conservativi per l’artrosi del ginocchio. Ma non finisce qui: ci sono dati clinici per quanto riguarda anche il dolore nell’artrite reumatoide.
Purtroppo, però, si tratta di studi pre-clinici eseguiti in laboratorio, tutti eseguiti fra il 2001 ed il 2016, che hanno esplorato l’effetto dei componenti del veleno di api sui modelli sperimentali più usati per simulare un’artrite reumatoide. Con varia efficacia, per tutti gli studi è stato possibile attenuare la sindrome infiammatoria e dolorosa degli animali trattati, il che fa sperare che questo trattamento naturale possa essere volto a questa patologia dall’elevatissimo impatto sulla qualità di vita. Infine, esistono due studi clinici (2013 e 2017) pubblicati sull’effetto della somministrazione del veleno d’api tramite apipuntura per il trattamento del mal di schiena cronico. In entrambi i casi, l’apipuntura ha migliorato la sintomatologia dolorosa, rispetto sia al placebo che ad alcuni comuni antidolorifici del gruppo dei FANS.
a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Fonte: medicomunicare