La vecchia regola apistica che dice «ogni tre anni uno buono» sembra davvero non venga rispettata. Dopo due annate poco felici per l’apicoltura locale una stagione riparatrice sembra non voglia mantenere appieno le promesse e gonfiare di soddisfazione il cuore di molti apicoltori.
Il nettare e il polline raccolti sono serviti solo a sistemare i nidi con scorte alimentari necessarie ed a sviluppare famiglie forti. Le fredde giornate di maggio non hanno rinvigorito le nostre care bottinatrici, gelate tardive e grandinate a macchia di leopardo, accompagnate da giornate molto ventose hanno danneggiato in maniera decisiva i fiori di acacia.
Insomma, questa primavera che se n’è andata, ci ha regalato poche soddisfazioni! Speriamo che la seconda stagione dell’anno, ci dia qualche soddisfazione.
Le nostre api in luglio possono godere ancora di risorse nettarifere straordinarie tipo quelle del trifoglio bianco e del solidago canadensis. Quest’ultima pianta netterifera spunta un po’ ovunque lungo i margini dei fiumi e nei luoghi incolti. Per l’apicoltura meridionale luglio segna invece un punto di sosta. La campagna arsa e i fiori avvizziti dal solleone costringono le api all’inattività. La «musica» cambia invece per gli apicoltori delle regioni più a nord della nostra bell’Italia: luglio è il mese decisivo per le sorti della campagna apistica in corso. Per le api di queste contrade il vero gran bottino arriva in quest’epoca ed è soltanto in base all’andamento di questo mese che gli apicoltori locali potranno alla fine ridere e rallegrarsi dei tesori radunati dalle api o viceversa lagnarsi ancora una volta per le tante fatiche mal ripagate.
In fatto di previsioni noi non conosciamo ancora l’arte magica di squarciare il velo dell’avvenire. Ci limitiamo solamente a formulare i nostri voti caldi e sinceri perché anche per gli amici apicoltori di Bormio, Val d’Aosta e delle altre località montane consimili il mese di luglio sia pieno di prospettive e brillanti successi. La nostra speranza è che questa annata apistica si riveli come un anno riparatore nel vero senso della parola.
Il nomadismo è una specializzazione dell’apicoltura da incoraggiare sia per i servizi che le api rendono all’agricoltura con l’impollinazione dei fiori e delle piante sia per le grandi produzioni di miele superiori alla media, che si possono ricavare. Cosa assai proficua farebbero dunque quegli apicoltori che trovandosi a poca distanza dalle località mellifere vi trasportassero i loro alveari. Consigliamo di effettuare il trasporto nelle ore più fresche della notte per evitare, dato il caldo di quest’epoca, di soffocare le api e far crollare le costruzioni in cera dei favi.
A tale scopo raccomandiamo di effettuare la visita con particolare attenzione e diligenza. Operiamo preferibilmente di sera quando il sole tramonta, badando di non lasciare gli alveari troppo tempo scoperti o lasciare favi colmi di miele all’aperto, facendo attenzione a non imbrattare con le mani e l’attrezzatura le parti esterne degli alveari o spargere gocce di miele sul terreno circostante l’apiario. In quest’epoca un provvidenziale secchiello pieno di acqua è da annoverarsi fra l’attrezzatura occorrente per la visita a fondo degli alveari.
Nel passare in rassegna le colonie alla ricerca della regina controlliamo l’aspetto della covata e lo stato di freschezza di ogni favo. I favi che dovessero presentarsi con covata sparpagliata, larve morte nelle celle e con opercoli meno colorati, convessi o addirittura perforati, nascondono quasi certamente una pericolosa malattia infettiva che si espande lentamente nell’alveare e si manifesta principalmente verso la fine della primavera ed in estate: la peste americana. Non esitiamo a sottoporre con urgenza un campione di detti favi all’esame del Laboratorio apistico regionale.
I favi vecchi e malformati, anche se contenenti covata, spostiamoli ai lati esterni. Alle famiglie deboli con regina valida che necessitano di rinforzi diamo qualche favo con covata opercolata che preleviamo dalle famiglie più forti che ne hanno in sovrappiù. Infine, se dovessimo scoprire famiglie orfane, procuriamo a loro, al più presto, una giovane regina feconda prima della comparsa delle api figliatrici.
L’introduzione di una nuova regina feconda in un alveare è una operazione delicata. La condizione indispensabile per l’accettazione è costituita dall’orfanità certa dell’alveare ricevente. In esso non devono esserci né regina vecchia né regina vergine, celle reali, larve scelte dalle api per essere allevate ed api figliatrici che si sviluppano quando l’alveare è orfano da oltre 21 giorni. L’orfanità dell’alveare non deve superare le 24 ore.
Consigliamo nei casi dubbi in cui non riusciamo a trovare la regina e all’interno non esistono tracce di covata, di inserire prima un favo contenente covata e larve. Dopo 48 ore, se l’alveare è orfano, le api costruiscono celle reali; se non lo è, la regina la si troverà quasi sempre sul favo stesso.
Eseguiamo di preferenza nel tardo pomeriggio l’operazione di introduzione della regina feconda nell’alveare orfano. Togliamo il tappo di plastica che chiude il foro del candito, foriamo con un ago sottilissimo il candito stesso in più parti per renderlo più morbido e introduciamo fra due favi centrali del nido la gabbietta che racchiude la sola regina procedendo con cautela, limitato fumo e senza urtare o dare scossoni all’alveare. Dopo 36-48 ore la regina verrà raggiunta e liberata dalle api operaie che avranno mangiato il candito ed accettata come loro madre, perché in questo frangente di tempo ha acquistato lo stesso odore dell’alveare orfano. Visitiamo la famiglia per accertare la riuscita dell’operazione solo dopo una settimana.
Il sistema che abbiamo descritto è il più diffuso. Esso presenta una certa percentuale di casi di mancata riuscita, il più delle volte dovuto però alla presenza nell’alveare di regine o celle reali oppure all’imperizia dell’apicoltore che nel compiere l’operazione in fretta crea scompiglio nella famiglia.
I calori estivi possono minacciare seriamente le costruzioni in cera degli alveari. Ombreggiamo gli alveari nelle giornate più calde e disponiamo gli stessi in modo che circoli molta aria. Più la stagione avanza e più è da temersi il saccheggio; badiamo dunque a non provocarlo. L’ape non trovando in campagna il solito bottino al quale aspira per natura e per abitudine assunta, nell’intento di trovar qualcosa da portare a casa e propensa anche alla ricerca di fonti alternative. Ronza petulante intorno agli alveari vicini nell’intento manifesto di forzarne la guardia; a volte riesce ad eludere la sorveglianza, con le buone o con le cattive maniere, in particolare delle famiglie deboli o di quelle indebolite da malattie o orfane.
Non tolleriamo in apiario simili famiglie. Meglio riunirle o disfarsene subito, traslocandole in altro luogo isolato. L’apicoltore, specialmente ora, deve badare a non dar l’avvio con qualche imprudenza al saccheggio. Deve saperlo prevenire usando le debite cautele. Oltre alle misure preventive che abbiamo già consigliato, raccomandiamo anche di non restituire i melari vuoti con i favi da ripulire quando splende ancora il sole. Meglio ridarli verso sera tardi perché durante la notte le api avranno modo di ripulirli e al mattino seguente non si incorrerà in tentativi di saccheggio. Anche la nutrizione alle famiglie che non hanno le scorte per l’inverno va somministrata di sera tardi quando la temperatura è fresca e il volo delle api è cessato.
Stiamo dunque attenti, amici. Nel disimpegno di queste faccende dobbiamo sbrigarci e guardarci bene dal lasciare tracce di miele. Le api hanno buon naso e in loro è molto sviluppato il bernoccolo del ladro.
Non è confortante per un apicoltore vedere api saccheggiatrici ronzare insistenti e affannate intorno agli alveari come tanti lupi affamati intorno all’ovile. Nel malaugurato caso di accidentale saccheggio interveniamo immediatamente: riduciamo al minimo l’entrata dell’alveare attaccato e poi dell’alveare assalitore e di tutti gli altri dell’apiario, perché il fenomeno può interessare “due singoli alveari ma può anche estendersi agli altri. Quando il saccheggio interessa due alveari basta invertire il posto degli stessi per sopprimerlo. Le api ladre, disorientate, in breve tempo si calmeranno.
Oltre alla riduzione delle porticine d’entrata, consigliamo di indirizzare, mediante un getto d’acqua a pioggia o con l’uso della spazzola, spruzzi in direzione delle api in lotta sui predellini, in volo e nell’ambiente circostante l’apiario per scoraggiare le saccheggiatrici e costringerle a rientrare nei loro alveari. Sedata l’agitazione, verso sera visitiamo le famiglie che hanno subito danni per verificarne le condizioni generali. Quando è possibile, è meglio trasportare gli alveari danneggiati in altro luogo, distante 6 – 7 chilometri ed al loro posto collocare un’arnia vuota per raccogliere le api sbandate da riunire poi a quelle di origine.
Luigi Montanari e Marco Lavagnini
Aggiornato al 15 luglio 2020