A volte ci si chiede come sia possibile sperare, tanto per il presente quanto per l’avvenire, in una gestione di azienda apistica economicamente valida, autosufficiente nei bilanci, non mortificante per il titolare. Il tutto partendo dalla constatazione che chi si dedica all’apicoltura difficilmente vi si inserisce attrezzato di capitali e di ferrate esperienze. Quasi sempre la dote principale è costituita da tanta passione per l’ape e la natura e dal desiderio di apprendere o perfezionare la tecnologia di allevamento e di conduzione. Talvolta, inoltre, la convinzione che sarà l’ape a lavorare per il padrone sottintende una velata speranza di facili guadagni. Inevitabilmente il neofita si trova a cozzare nella realtà contro barriere impreviste, pressoché insormontabili per lui, costituite sia dalle difficoltà naturali emergenti dall’allevamento, sia dalle dimensioni di produzione diverse da quelle programmate o immaginate, sia dagli alti; costi di investimento degli impianti come dei costi di gestione e di produzione, sia infine dalle pressioni di mercato quando dovrà cedere il frutto del suo lavoro.
Per questo potremmo definire l’esercizio dell’apicoltura come una somma di rischi, frazionabili in almeno tre grandi gruppi: rischi di allevamento, rischi di produzione, rischi di commercializzazione. Ognuno di questi gruppi propone una sua differente realtà che va analizzata e affrontata appropriatamente.
Rischi di allevamento
Questo gruppo comprende esclusivamente operazioni e interventi che sulla bilancia gestionale risultano del tutto passivi in quanto richiedono l’intervento dell’uomo per conservare il patrimonio oggetto dell ‘allevamento e per portarlo a livello ottimale ai fini della produzione. Poiché da esso dipenderà in gran parte il successo finale, tale intervento non potrà essere trascurato ai fini di un minor costo e dovrà essere schematizzato e raziona lizzato nel migliore dei modi.

La moderna apicoltura professionale impone una regola che si può definire come gestione mutualistica degli allevamenti, basata cioè sull’interscambio di materiale fra gli alveari dello stesso o di più apiari, con finalità diverse ma pur sempre in funzione del minor impiego di tempo e della massima resa produttiva. Affinché ciò sia reso possibile occorrono due condizioni basilari: la prima riguarda la standardizzazione del materiale (arnie, telaini, ecc.); la seconda interessa la situazione sanitaria degli allevamenti.
L’esperienza ha insegnato che affinché un apiario dia una resa ottimale deve avere tutti i suoi componenti in perfette condizioni di sviluppo e di popolazione, A tal fine si rendono necessari interventi come quello di «salassare» famiglie troppo forti a favore delle più deboli onde impedire, ad esempio, la sciamatura nelle prime e aiutare lo sviluppo nelle seconde. È logico che tale operazione, che chiamiamo livellamento, non si può effettuare se i telaini a covata non sono delle stesse dimensioni, È pure evidente che queste manipolazioni sono inattuabili in presenza di focolai di malattie, specie di quelle della covata. Se ogni apicoltore che ama le sue api si attenesse scrupolosamente al principio dell’apiario sano, distruggendo inesorabilmente ogni accenno di malattia, i conti economici suoi e dei confinanti sarebbero di sicuro nettamente migliori.
Vi sono poi altre condizioni utili quali l’organizzazione del lavoro in armonia con la disponibilità dell’operatore, l’ambiente, le esigenze degli allevamenti, la conoscenza perfetta della biologia dell’ape, della flora nettarifera e pollinifera della zona in cui si opera, dei sistemi di conduzione delle colture agrarie e forestali in uso, l’epoca di eventuali trattamenti pesticidi alle colture, ecc.
E ancora un ‘ultima componente che definiremo perfezionabile: la tecnologia di allevamento, perfettibile perché anche dopo una vita rimane sempre da apprendere qualcosa nonostante venga sostenuto talvolta che l’ape non si è minimamente evoluta nei secoli.
In sintesi le cose essenziali che contribuiscono al successo di un allevamento apistico sono:
- materiale standardizzato e di facile manipolazione;
- regine scelte, provenienti da ceppi selezionatissimi, collaudati, dotati delle migliori caratteristiche di longevità, docilità, laboriosità, resistenza alle malattie, acclimatazione all’ambiente, ecc.;
- scorte sufficienti nell’alveare o alimentazione integrativa in giusta dose e al momento opportuno;
- favi perfetti in costante sostituzione (almeno due per annata);
- presenza di flora nettarifera proporzionata all’entità dell’apiario;
- tonnellate di pazienza e chilometri di lungimiranza nell’apicoltore.
Rischi di produzione
Hanno una loro casistica e anche qui siamo in presenza di schemi passivi nel computo gestionale, in quanto rappresentano unicamente costi, stress, ecc.
Indichiamo alcune voci del mosaico:
- prospettive floreali e nettarifere, fattori climatici e loro incidenza. Le fioriture normalmente durano pochi giorni: a volte un temporale, un ritorno di freddo, una grandinata, un soffiar di vento, un periodo di siccità possono annullare totalmente gli sforzi compiuti dall’allevatore nel preparare gli alveari;
- tecnologia di produzione, apiari stanziali o apiari nomadi, legislazioni condizionanti o restrittive;
- estrazione del prodotto, confezionamento e conservazione.
Rischi di commercializzazione
Non sempre il ricavo soddisfa pianamente l’operatore per cui si rende necessario affinare l’organizzazione di vendita.
L’operatore dovrà esprimere, rapporto alla sua disponibilità tempo e di attrezzature, una scelta di orientamento verso il mercato all’ingrosso o verso quello al consumo diretto, tenendo presente che si nell’uno che nell’altro caso vi sono vantaggi e svantaggi. Nel primo caso, a fronte di un minor prezzo sta un collocamento più facile e impegnativo e quindi maggior tempo libero; nel secondo caso un maggior realizzo, ma anche un maggior costo, impegno, responsabilità commerciale, fiscalizzazione e minor tempo da dedicare agli allevamenti e al relax.