Mi presento facendo una piccola premessa: da circa trenta anni ormai la mia professione è quella di medico chirurgo ospedaliero, mentre da qualche anno a questa parte l’apicoltura è diventato un mio grande hobby al quale mi dedico con sfrenata passione e “certosina” dedizione.
La frequentazione di un corso base di apicoltura mi ha dato le prime nozioni per poter debuttare in questo fantastico “mondo”; la pratica sul campo, partendo dai miei due primi alveari fino al mio attuale piccolo apiario di quindici, mi ha aiutato a sviluppare una ” certa ” esperienza in materia; i preziosi consigli di un grande amico apicoltore mi son sempre stati utilissimi nei momenti in cui la mia “modesta” esperienza e le mie “carenti” nozioni non erano sufficienti a supportare l’attività pratica di gestione delle famiglie; mentre la mia grande voglia di conoscere e di sapere mi ha fatto “divorare” innumerevoli libri, scritti dai più autorevoli autori ( sia Italiani che stranieri), permettendomi di acquisire importanti conoscenze che si son poi rivelate utili per sviluppare delle convinzioni che, nell’arco di questi anni di pratica apistica, sono divenute certezze imprescindibili in grado di governare il rapporto fra me e le mie api.
La mentalità medica mi impedisce di credere che non si riesca a debellare un semplice acaro; la cultura clinica mi ha convinto che regni una gran confusione nella ricerca e nell’utilizzo dei principi attivi antivarroa e che a questa gran confusione spesso si sovrapponga l’impiego di tecniche e strategie il più delle volte nate dall’improvvisazione se non addirittura da intuizioni personali malsane; la pratica professionale quotidiana mi porta a credere che, come avviene per gran parte delle patologie, spesso ci si trovi a dover curare ciò di cui si sarebbe potuto evitare l’insorgere semplicemente attuando un appropriato stile di vita, una giusta alimentazione e/o delle corrette abitudini comportamentali.
Proprio queste ultime: “le corrette abitudini comportamentali”, a mio avviso, dovrebbero essere quelle che governano il nostro modo di rapportarci con le api.
Teniamo questi meravigliosi imenotteri in uno stato di “pseudo” cattività fornendogli un habitat (l’arnia) insalubre e malsano cosa questa che contribuisce a produrre l’indebolimento della famiglia consentendo lo sviluppo di un ottimo terreno di coltura per la crescita ed il propagarsi di microrganismi e parassiti con conseguente insorgenza di stati morbosi a carico dell’intera famiglia.
E’, a mio modesto parere, mantenendo questa “insalubrità” all’interno dell’alveare che, con “sapiente” maestria, siamo riusciti a creare le condizioni perfette per generare l’involuzione dello stesso. Proprio partendo da queste semplici convinzioni ho pensato a come poter fare per modificare l’arnia togliendole quella sembianza di “carcere” sovraffollato per trasformala in un ambiente “apicentrico” più salutare e salubre in cui possano soggiornare in buona salute le nostre api.
Per perseguire questo obiettivo dallo scorso anno ho così dotato tutte le arnie di un fondo a tubi tipo happykeeper per permettere una costante e buona aereazione all’interno dell’alveare, ho trasformato il normale spazio Dadant in spazio Mussi per ottimizzare l’aereazione e per consentire alle api di muoversi in “territori” meno ristretti in cui eventualmente poter affinare la pratica del grooming ed infine al di sopra del coprifavo ho sostituito l’usuale “coperchio” in lamiera con un tetto a ” chalet” coibentato internamente con fogli di sughero dello spessore di 2 cm.
Ho pensato che questi accorgimenti si sarebbero rivelati molto utili per diminuire l’umidità all’interno dell’arnia , garantire un’ ottima ventilazione, permettere un’ottimizzazione degli spazi interfavo, contribuire al mantenimento di un “microclima” favorevole ed evitare il surriscaldamento nei caldi periodi estivi; condizioni, queste, che, a mio avviso, dovrebbero consentire di raggiungere un stato di salubrità ottimale con necessario sensibile miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e quindi della qualità della vita, della salute e della forza dell’intera famiglia.
Così è stato, dopo la metà di luglio, finita la raccolta del miele, ho esaminato con attenzione le mie api constatando una bassissima presenza di varroa confermata anche dal test dello zucchero a velo (non più di una varroa caduta dopo spargimento dello zucchero), le famiglie si sono mostrate in ottima salute, forti ed estremamente tranquille; la varroa presente non è stata in grado di danneggiare l’alveare.
Penso che con queste condizioni ottimali si potrebbero evitare i trattamenti e soprattutto qualora si volesse decidere di praticarli ugualmente lo si possa fare evitando il blocco di covata una metodica, a parer mio, innaturale diabolica e devastante. Un’altra buona pratica nata dalle mie convinzioni e che utilizzo già da qualche anno, è quella di nutrire comunque e a prescindere le famiglie per evitare l’insorgere di condizioni di stress durante i periodi di scarso raccolto, stress che porterebbe ad un sicuro indebolimento delle stesse.
La nutrizione la comincio subito dopo la rimozione dell’ultimo melario, a fine raccolto, e la continuo fino al gennaio dell’anno successivo, utilizzando sempre nutritori a depressione per la somministrazione di sciroppo. Da metà luglio fino alla fine di agosto utilizzo uno sciroppo 1/1 (1 kg di zucchero ed 1 l di acqua), da settembre a fine ottobre 2 kg di zucchero per 1 l di acqua.
Lo sciroppo lo preparo io stesso aggiungo ad ogni litro di acqua il succo di cinque limoni spremuti, porto ad ebollizione la soluzione ed ad inizio bollitura introduco una quantità di luppolo da amaro (in pallet) e lascio bollire per 60 minuti (a fuoco lento e pentola coperta). Da metà dicembre a febbraio somministro candito addizionato con proteine (lo si trova regolarmente in commercio); con questi provvedimenti ci ritroveremo a fine febbraio famiglie splendide ed in condizioni ottimali per la ripartenza.
Sempre seguendo quei criteri ispirati alle corrette abitudini comportamentali, mi sono posto anche l’obiettivo di mantenere salubrità nell’alveare rinnovando con metodica cadenza la cera dei favi. Per raggiungere questo scopo dalla metà di marzo, quando la stagione si prepara a ricominciare, sostituisco gradualmente i tre favi più vecchi di ogni arnia fornendo, prima due telai con foglio cereo e poi un terzo vuoto che farò lavorare alle stesse api.
E’ inoltre mia convinzione che per ottimizzare lo stato di benessere e di buona salute della famiglia sia indispensabile evitare tutti quei comportamenti e quegli atteggiamenti che potrebbero esporre le nostre api a condizioni di stress come per esempio le frequenti e spesso inutili apertura dell’arnia. Le mie ispezioni sono limitate quasi esclusivamente al momento in cui voglio formare dei piccoli sciami (primavera ed estate) o devo controllare la sciamatura eliminando le celle reali.
Per il resto se voglio avere delle informazioni sullo stato di salute della famiglia e/o su una sua eventuale orfanità ottengo queste informazioni con la semplice osservazione della porticina di volo.
Una corretta ed attenta osservazione del predellino di volo, consente di ottenere tutte le informazioni che vogliamo avere sullo stato di salute, orfanità e di benessere della famiglia; solo se da questa osservazione qualcosa, nel comportamento delle nostre api, non dovesse convincerci avremo la giustificazione per disturbarle aprendo l’arnia per una ispezione.
Nella figura 2 potete vedere un nucleo fatto a metà luglio, si può osservare l’ottimo stato in cui si trovano le api (senza alcun trattamento), non essendo possibile, per le dimensioni dell’arnia, inserire un nutritore a depressione ne ho confezionato uno artigianale, utilizzando un biberon al cui ciuccio ho praticato tre fori da 1 mm oltre a quello già esistente.
Maurizio Ghezzi