I ricercatori dell’Università “La Sapienza” hanno studiato la capacità del miele di agire contro i batteri resistenti agli antibiotici.
Ma perché sia efficace occorre sceglierlo “bio”. Non deve essere stato particolarmente difficile, per i nostri progenitori, scoprire il miele: forse bastò seguire qualche orso, osservare il comportamento delle api, chissà… Fatto sta che già nel Paleolitico, 35.000 anni fa, lo si raccoglieva dai favi.
Ben presto l’uomo scoprì anche le proprietà curative del miele. Non a caso questo dolcificante naturale non è mai scomparso dalle nostre case ed è entrato pure nei laboratori scientifici: non mancano infatti le ricerche sulle qualità antibatteriche e antinfiammatorie.
L’ultima in ordine di tempo arriva dall’Università La Sapienza di Roma, i cui ricercatori hanno studiato il miele per verificarne la capacità di agire contro i batteri resistenti agli antibiotici e di inibire il sistema di comunicazione batterico (o quorum sensing), da cui dipende lo sviluppo di infezioni acute o croniche ostiche da trattare.
Particolarmente efficaci si sono rivelati i mieli di timo ed eucalipto, ma anche quelli di arancio e limone e la melata. Non solo: mescolando prodotti di diversa origine botanica o provenienza, si può potenziarne l’attività. Perché il miele si riveli efficace occorre però sceglierlo bene. I tre elementi da valutare sono il colore, il gusto e la consistenza.
I primi due dipendono dai fiori visitati dalle api; l’ultima in parte dalla corretta estrazione del prodotto dall’arnia e in parte dal tipo stesso di miele. Infatti ci sono prodotti fluidi e altri cristallizzati. La cristallizzazione è un processo naturale e non è provocata dall’aggiunta di zucchero al prodotto.
Per sua natura, il miele prima o poi cristallizza.
Per esempio ci vogliono 2 mesi per il miele di tarassaco, 15 giorni per quello di corbezzolo, 3 anni per quello di acacia, che insieme a quello di castagno è tra i più “longevi” sotto questo aspetto.
Certo, se acquistate un miele di recentissima produzione è normale che sia fluido, ma un millefiori non ancora cristallizzato dopo qualche mese è abbastanza improbabile: il rischio è che possa essere stato pastorizzato o trattato termicamente.
Infatti certi produttori scaldano il miele per renderlo fluido o lo pastorizzano per sopperire a certe carenze qualitative, ma così gli fanno perdere quasi tutte le proprietà. La scelta del prodotto bio offre in questo senso più garanzie, anche per quanto riguarda il rispetto delle api. Quando poi lo portiamo a casa evitiamo di scaldarlo. Se proprio lo vogliamo più fluido per versarlo ad esempio su una crespella, limitiamoci a scaldarlo a bagnomaria per breve tempo.
famigliacristiana (Giuliana Lomazzi)