sabato , 7 Settembre 2024
Alveari più salubri
Condensa nell'alveare.

Alveari più salubri

È frequente sul finire dell’inverno o all’inizio della primavera, quando eseguiamo la prima visita negli alveari (soprattutto nelle zone di pianura o nel fondo valle) trovare acqua sul fondo, condensa sulle pareti, muffa sui favi e sulle provviste, in special modo su quelli più esterni al glomere di api.

La presenza della muffa non è un problema gravissimo per la vita della famiglia ma ci indica solamente la presenza di umidità dovuta all’assenza di circolazione d’aria nell’alveare.

Nel momento in cui troviamo l’acqua dentro l’alveare (succede a tutti i principianti), si va subito alla ricerca da dove è entrata. In realtà si tratta di aria calda satura di umidità dovuto al metabolismo delle api durante l’inverno, che andando a contatto con le pareti fredde dell’alveare (con temperature inferiori a quelle di rugiada) si condensa sotto forma di goccioline d’acqua. L’evento si manifesta in maggior misura in prossimità degli angoli, dove è più probabile che la temperatura superficiale scenda al di sotto della temperatura di rugiada conosciuta come temperatura di prima condensazione, che in particolari condizioni, di pressione e temperatura, permette la formazione della prima goccia liquida.

Ciò che appare possiamo sperimentarlo anche noi in estate, quando tiriamo fuori dal frigorifero una bottiglia di acqua fredda: l’umidità dell’aria, presente nell’ambiente, si condensa attorno alla bottiglia, la cui superficie esterna ha una temperatura inferiore rispetto a quella dell’ambiente. Maggiore sarà la differenza tra le due temperature (quella della bottiglia e quella dell’ambiente) e maggiore sarà la quantità d’acqua che si depositerà sulla bottiglia fino a creare un velo d’acqua.

La temperatura di rugiada, negli alveari, viene favorita quando:
a) l’umidità in eccesso penetrando nel legno fa perdere la sua capacità isolante facilitando gli scambi di calore tra l’interno e l’esterno dell’alveare;
b) l’apicoltore provvede a inserire la porticina con l’apertura invernale ostacolando la ventilazione naturale e/o meccanica effettuata dalle api che rimuovono l’aria calda satura di umidità.
Conosciute le cause e gli elementi che la favoriscono, possiamo intraprendere iniziative atte a ridurla. Su questo ci viene in aiuto il diagramma psicometrico (Fig.1).

Fig. 1 – Diagramma psicometrico.

Dal grafico è possibile osservare che con una temperatura di 15°C e una umidità relativa del 60%, la temperatura di rugiada è di 7,2°C, mentre con una temperatura di 15°C e una umidità relativa U.R.= 80% la temperatura di rugiada è di 12°C.

Solitamente la quantità di umidità relativa presente nell’aria viene espressa in valori percentuali e dipende dalla temperatura e dall’umidità assoluta. Come si può notare, la temperatura di rugiada a parità di temperatura è maggiore al crescere dell’umidità relativa. Tale risultato è facilmente dimostrabile visto che l’aria calda può contenere una maggiore umidità relativa e necessita di un minore raffreddamento per giungere a saturazione.

Per questo motivo, l’apicoltore deve intervenire in inverno per mantenere sempre sulle pareti interne all’alveare una temperatura superiore alla temperatura di rugiada e riducendo l’umidità relativa interna, (deumidificandola) attraverso la ventilazione naturale.

Se vogliamo sapere se l’aria esterna permette una riduzione dell’umidità interna dell’alveare si deve prendere in considerazione l’umidità assoluta che non è altro l’effettivo quantitativo di umidità che si trova all’interno di un metro cubo di aria (ovvero i grammi di vapore presenti ogni metro cubo d’aria).

Fig. 2 Calcolo dell’umidità relativa.

Nella tabella (fig. 2) sono riportati i valori dell’umidità assoluta, cioè i grammi di vapore acqueo presenti per ogni metro cubo di aria, valori molto utili per comprendere se in una fredda mattina d’inverno e con una fitta nebbia, è sensato far ventilare gli alveari.

Per verificare ciò, occorre conoscere la temperatura e il livello di umidità interna dell’ alveare, inserendo questi valori nella tabella si ricava l’umidità assoluta.

Esempio: con una temperatura di 20°C e un’umidità relativa pari al 65%, dalla tabella si ricava un’umidità assoluta pari a 11,3 (g/m3), mentre se all’esterno si ha una temperatura di 5°C e un’umidità relativa pari al 90% si ha un’umidità assoluta pari a 6,1 (g/m3).

Dai risultati dell’umidità assoluta espresso in (g/m3) si comprende che l’aria fredda è sempre più secca rispetto all’aria calda. Ciò significa che nella stagione invernale possiamo ottenere la giusta ventilazione nell’alveare anche in presenza di nebbia.

Dalle conoscenze ora acquisite, ravvisiamo che possiamo rendere più confortevole l’alveare alle api, agendo sulla ventilazione interna anche d’inverno, intervenendo solo sulla porticina.

L’efficacia si può dimostrare anche matematicamente.
Se s’ipotizza dentro al nido una temperatura di 20°C e un’umidità relativa del 65% si ricava dall’intersezione di questi due valori nella tabella (Figura 2) l’umidità assoluta è 11,30 g/m3, mentre se all’esterno abbiamo una temperatura di 0°C ed un’umidità relativa del 100%, sempre dall’intersezione di questi due valori nella tabella (figura 2) l’umidità assoluta è 4,8 g/ m3.

Dai risultati dell’umidità assoluta ci si rende conto di quanto la ventilazione naturale nell’alveare sia fondamentale per la qualità dell’aria e per contrastare l’aumento d’umidità.
Per garantire il benessere alla famiglia di api si deve assicurare all’interno dell’alveare un ricambio minimo di d’aria pari a 0,3 m3/h, moltiplicando questo valore per il volume 0,05643 m3 occupato da una famiglia di api in un’arnia (Italica Carlini) da 10 telaini, si ottiene 0,016929 m3/h di aria che si deve cambiare.

Passando ai grammi si ha: 0,016929 m3/h × (11,30 g/m3 – 4,8 g/m3) = 0,1100385 g/h se tale valore si moltiplica infine per 24 ore si ottengono 2,640924 g di vapore acqueo, che equivalgono a 0,002640924 litri che potenzialmente dobbiamo fare uscire con la ventilazione.

Alveari più salubri
Figura 3 – Porticina standard.

Questo risultato ci porta a riflettere su come la ventilazione naturale all’interno dell’alveare sia la soluzione migliore per far uscire dal nido l’aria viziata, umida e frammista a sostanze volatili inquinanti.
Nel passato, per migliorare le condizioni termo-igrometriche negli alveari, si è cercato di controllare alcuni parametri come:
1. Ventilazione;
2. umidità interna;
3. temperatura;
4. coibentazione delle arnie, senza ottenere il successo sperato.
Anche se condivido pienamente la tesi sulla ventilazione, perché è la soluzione ideale per far uscire l’aria viziata carica d’umidità, non condivido che in inverno si proceda con:
1. la rotazione del disco a quattro posizione sul coprifavo per far circolare l’aria perché, forzando la ventilazione verso l’alto (effetto camino) s’interrompe la naturale circolazione di aria all’interno dell’alveare. Tuttavia, una ventilazione eccessiva causa correnti d’aria e raffreddamento del nido. Le api per evitarla propolizzano i fori del disco per non alterare l’equilibrio termico raggiunto dentro l’alveare;
2. l’asportazione del vassoio di lamiera perché non migliora la ventilazione interna. Il fondo aperto essendo vicino alla porticina d’ingresso non facilita la circolazione d’aria sulle pareti, anzi, la sua eliminazione contribuisce ad abbassare notevolmente la temperatura interna nell’alveare;
3. prassi ancora diffusa di molti apicoltori che quando invernano le api spostano i telaini su un lato dell’alveare ed inseriscono un solo diaframma. I telaini prossimi alla parete non presidiati dalle api, in assenza di una opportuna ventilazione, diventano umidi o coperti di muffa.

Tutte accortezze che presentano più svantaggi che vantaggi.
Diagnosticata la causa, si è concentrato su come facilitare lo scambio tra l’aria interna e quella esterna, senza indurre le api in glomere a sottostare alle correnti d’aria fredda.
Procediamo con ordine:
1. nella visita di preinvernamento e/o invernamento si asportano dall’alveare i favi in eccesso, i più vecchi e/o quelli deformati, restringendo i rimanenti favi al centro del nido e inserendo ai lati un diaframma, lasciando una intercapedine variabile a dx e sx dalle pareti in funzione dei telaini asportati.
2. se nelle famiglie forti si riesce a togliere dal nido solo due favi, si devono inserire ai lati del nido due diaframmi di spessore ridotto di circa 10 millimetri per realizzare l’ intercapedine.
3. l’ingresso della porticina invernale (Figura 3) sarà chiuso e si realizzeranno due ingressi diametralmente opposti sulla porticina (Figura 4) in corrispondenza dell’intercapedine formata tra le pareti e i diaframmi in modo da facilitare la circolazione di aria tra l’interno e l’esterno.
La presenza dello strato d’aria nell’intercapedine risulta utile durante la stagione invernale che, associata ad un’ottima ventilazione, contribuisce ad evitare la condensa e il ristagno dì umidità sia sui favi che sulle pareti.
L’intercapedine però non dovrà avere una larghezza maggiore di 45 mm perché se si supera questa distanza all’interno dell’ intercapedine si creano dei moti convettivi, che velocizzano lo scambio termico tra il diaframma e la parete esterna, rendendo di fatto inutile l’esistenza della stessa.

Alveari più salubri
Figura 4 – Porticina standard modificata

Attraverso questi ingressi transiterà in modo naturale un flusso d’aria che dipenderà molto anche dai fattori esterni. Infatti, possono esistere aree più o meno “ventose” a seconda delle differenze di pressione e delle caratteristiche morfologiche e climatiche del luogo (intensità del vento, esposizione, sole ecc.), come pure dalla differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno.

Non si abbia timore di sprecare calore attraverso questi due ingressi, l’aria che entra in poco tempo si stabilizzerà alla temperatura interna ed essendo più asciutta darà un maggiore comfort alle api, che si svilupperanno meglio e saranno meno soggette alle malattie.

Quindi l’umidità interna negli alveari si può eliminare, modificando semplicemente la porticina d’ingresso e restringendo il nido con due diaframmi.

Con questa piccola modifica sulla porticina standard” (Figura 4) abbiamo trasformato, un alveare da favo freddo a favo caldo con una peculiarità in più, la circolazione d’aria che rende più asciutte le pareti interne e i favi. Questo si nota all’inizio della primavera quando la regina incomincia a deporre su tutta la superficie dei favi perché più asciutti, rispetto all’alveare a favo freddo, che incomincia a deporre solo sulla superficie anteriore dei favi prossimi all’ingresso.

Conclusioni
Con questa piccola modifica sulla porticina,  avremo i vantaggi dell’arnia a favo caldo in inverno e tramite il flusso d’aria nell’intercapedine l’eliminazione dell’umidità interna che provoca la condensa, senza sottoporre le api alle correnti di aria.
In estate inserendo di nuovo la porticina standard avremo di nuovo i vantaggi dell’arnia a favo freddo.

Modificando la porticina d’ingresso e insieme ad un’altra modifica proposta sull’arnia razionale pubblicata sulla rivista Api & Flora, daremo alle api del terzo millennio arnie più salubri.

Pasquale Angrisani
Fonte: Apitalia 1-2 Gennaio Febbraio 2024

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