sabato , 25 Marzo 2023
Pianta di sambuco fiorita

Come curare le ragadi, con la cera delle api

Con quest’articolo si cerca di tramandare ai posteri una ricetta popolare a base di cera d’api che appartiene alla cultura contadina dell’agro Nocerino Sarnese (SA), molte volte derisa e disprezzata dalla medicina ufficiale e dagli intellettuali.

Come curare le ragadi, con la cera delle api
foto 1

Questa ricetta, a base di cera d’api, si presta a svariati utilizzi perché presenta proprietà emollienti, idratanti e cicatrizzanti. E’ molta usata per combattere le ragadi al seno ( localizzate principalmente al bordo dell’areola o sul capezzolo) delle lattanti e sulle mani e sui piedi (spesso a livello dei talloni) dei lavoratori edili dato che per molto tempo sono in contatto con la calce. Molte volte, le ragadi sono localizzate anche intorno al canale anale: chi ne è affetto, lamenta prurito, bruciore e  dolore  all’inizio della defecazione, con modeste perdite di sangue che solitamente sporca la carta igienica. Queste sottili e dolorose ulcerazioni sono chiamate in dialetto nocerino “serchie”. Oggi la vasta disponibilità di medicine e di antibiotici ha fatto dimenticare l’esistenza e l’efficacia di questo prodotto naturale, e questo non può che essere un danno sia per il risultato privo di effetti collaterali e sia per il valore della memoria storica. Con questo non si vuole auspicare un ritorno al passato, ma piuttosto una maggiore attenzione per questi prodotti naturali, che dopo aver attraversato i secoli, rischiano di cadere nel dimenticatoio.

ingredienti
Foto 2
Personalmente posso testimoniare una cura delle ragadi grazie ai benefici ricevuti da questa ricetta contenente cera d’api mentre, medicine consigliate dai medici hanno fallito. Per questo motivo  descriverò un metodo che è molto usato per preparare questa crema, che richiede ingredienti di ottima qualità. Dato il non utilizzo di conservanti occorre avere una maggiore cura dell’igiene: facendo bollire tutte le attrezzature necessarie; adoperando acciaio inossidabile; vetro e strofinacci puliti, per evitare di contaminare il prodotto finale.
Gli ingredienti sono: ( foto 2)
  1. Cera d’api biologica, per evitare che all’interno ci siano tracce di antibiotici, spesso somministrati alle api. Si trova dagli apicoltori che praticano apicoltura biologica, o già in scaglie presso le farmacie ben fornite;
  2. Olio extra vergine d’ oliva, la cui acidità libera, espressa in acido oleico è al massimo di 0,8 g per 100 g;
  3. Rametti di sambuco, raccolti in posti non esposti all’inquinamento.
Foto 3
Foto 3

Gli arbusti di sambuco (foto 1) si possono trovare ai margini dei boschi o nelle radure, su terreni ricchi di azoto e molto umidi. Possono  raggiungere anche i 10 metri di altezza, il fogliame si presenta folto e la corteccia è grigia con piccoli rigonfiamenti rossicci. Le foglie sono verde scuro sulla pagina superiore e più chiare su quella inferiore. I fiori fioriscono nel periodo maggio- giugno e sono piccoli, bianchi e delicatamente profumati, riuniti in grandi ombrelle (corimbo). I frutti sono delle bacche sferiche nerastre con picciolo rosso scuro e un piccolo nocciolo all’interno.

Le attrezzature necessarie.
  1. Un contenitore di acciaio inox, da usare per sciogliere la cera di capacità adeguata alla quantità di crema che vogliamo produrre;
  2. Una piccola bilancia da cucina che raggiunga la precisione di almeno 5 grammi;
  3. Una grattugia per la cera, o un coltello affilato per ridurre la cera in scaglie;
  4. Una fonte di calore, che non sia una fiamma libera;
  5. Dei vasetti in vetro (ottimi sono quelli che hanno contenuto gli omogeneizzati) sterilizzati attraverso la bollitura in acqua per almeno cinque minuti e lasciati ad asciugare a testa in giù su un panno pulitissimo;
  6. Alcuni strofinacci puliti;
  7. Un bastoncino di legno;
  8. Un lavandino con acqua corrente.
Come curare le ragadi, con la cera delle api
Foto 4
La preparazione della crema.

Per ottenere all’incirca quattro barattolini di vetro (tipo quelli per gli omogeneizzati) abbiamo bisogno di circa 100 grammi di cera, 200 grammi di olio d’oliva e cinque bastoncini di sambuco del diametro di circa 10 mm per una lunghezza di 300 mm. Se si sbaglia la dose varia solo la consistenza della crema, mentre restano invariate le sue proprietà. La preparazione inizia eliminando dai bastoncini di sambuco la parte superiore verde della corteccia cfr. foto 3, per poi recuperare i trucioli bianchi (foto 4) che si ottengono raschiando il secondo strato della corteccia fino ad arrivare sulla parte legnosa. S’inseriscono i trucioli bianchi nel pentolino posto sulla sorgente di calore, contenente olio extravergine d’oliva, che non dovrà mai arrivare nella fase di ebollizione ma, deve sempre avere una temperatura costante.

Come curare le ragadi, con la cera delle api
Foto 5

ll pentolino resterà sulla sorgente di calore fino a quando i trucioli assumeranno dei colori biondi, circa 5 ± 10 minuti questo vuol dire che hanno scaricato nell’olio i loro principi  attivi che sono: sali di potassio, colina, zuccheri, tracce di olio essenziale, glicosidi cianogenentici, sambunigrina, alcaloide sambucina, tannini. (foto 4 e foto 5) Tolto il pentolino dalla sorgente di calore e dopo aver tolto i trucioli, s’inseriscono le scaglie di cera, preventivamente lavate e asciugate. (foto 6) Si mescolano con un bastoncino di sambuco, quando la cera si è sciolta lasciare riposare per circa cinque 5 minuti, per far si che i residui della corteccia vadano a fondo e si lascia raffreddare un po’ per poi versarla nei singoli recipienti di vetro sterilizzati. Chiudete ermeticamente i barattoli e fateli raffreddare del tutto prima di conservarli in dispensa al fresco e al buio. Durante la preparazione della crema si deve evitare che la cera d’api entri in contatto con materiali come il rame, lo zinco, il ferro e l’ottone, perché possono causare un inscurimento della cera, anche un riscaldamento eccessivo può causare un in

cera_nell_olio
Foto 6

scurimento, ecco perché durante la preparazione della crema si devono usare sempre recipienti in acciai inossidabili. Un’altra raccomandazione importante, è quella di evitare il contatto della cera d’api con le fiamme libere perché la cera è infiammabile, quindi è preferibile usare una fonte di calore proveniente non da fiamme libere ma da una fonte di energia elettrica. La crema durante la fase di lavorazione, assumerà un colore bianco giallastro, ma questo non significa che una crema scura è meno buona di una crema chiara, ovviamente il colore finale dipenderà dalla qualità della cera d’api. Se la crema ottenuta sarà conservata in barattoli di vetro con il coperchio a vite, in un luogo fresco e asciutto, lontano da fonti di calore, si conserverà mantenendo inalterate le sue proprietà per circa 6-8 mesi.

Le dosi, il modo e il tempo di somministrazione.
Una volta ottenuta la crema, (foto 7) prima di adoperarla, lasciate passare almeno dodici ore in modo che la cera s’indurisca e il composto si stabilizzi. Essa va applicata spalmandola con le dita 1-2 volte al giorno, non solo sulla parte infetta ma anche su tutta l’area intorno ad essa, previa lavatura e asciugatura della zona interessata, e va proseguita ininterrottamente per una settimana o fino alla scomparsa dei sintomi, che possono durare da due a sei settimane, in funzione del tipo e dell’estensione dell’infezione. Sulle mani ruvide e screpolate va applicata la sera, prima di coricarsi, calzando guanti di cotone da tenere tutta la notte.
crema
Foto 7

La crema non sarà totalmente assorbita dalla pelle, ma lascia un’efficace barriera protettiva che la difende da qualsiasi aggressione esterna. Il prodotto è indicato  per prevenire irritazioni e arrossamenti e soprattutto per proteggere attivamente da possibili screpolature e lacerazioni le parti più sensibili; già dopo un leggero massaggio si può notare un lieve benessere,  con una successiva scomparsa  del prurito. Si può usare in qualsiasi periodo o in modo preventivo e non vi sono controindicazioni sulla quantità di crema da spalmare.

Pasquale Angrisani

Un sentito ringraziamento a mia cugina Agnese, scomparsa prematuramente, che ha contributo con le notizie alla stesura di quest’articolo.
Articolo pubblicato sulla rivista ApitaliA n. 2, febbraio 2014

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