giovedì , 30 Novembre 2023
Telaino con sopra una regina Buckfast

Esperienza apistica in Germania con le Buckfast

Mentre in Italia si discute ancora con leggerezza e superficialità sull’uso o meno di incroci selezionati, soprattutto nei vari gruppi di discussione online, ho deciso di andare a lavorare in un’azienda apistica tedesca che lavora solo con api Buckfast, per farmi un’idea e per valutare di persona il nemico numero uno per la biodiversità italiana.

Premetto che negli anni passati ho avuto modo di lavorare per un apicoltore italiano che utilizza Buckfast ma, come spesso succede nel nostro paese, tutto era improvvisato e le regine venivano acquistate da apicoltori italici che non sapevano neppure scrivere la genealogia delle proprie regine.

buckfastLa cosa più allarmante di questa nuova moda italiana è che naviga in un mare di incompetenze, guidata da timonieri allo sbaraglio che non hanno la conoscenza e il capitale per praticare un piano d’allevamento per questo incrocio così tecnico e dispendioso.

Allevare Buckfast e mantenere linee stabili e performanti, in tutti i paesi del nord Europa, è una professione a parte dove gli apicoltori ordinano le regine a 25 – 30 euro per la produzione di miele, fino ad arrivare a 60 euro per una singola regina feconda, come ho avuto modo di osservare in Danimarca.

Le aziende più grandi si limitano ad acquistare regine madri dai breeders di Buckfast per farle replicare a lavoratori stagionali delle aree est e sud europee, per rinnovare le colonie a buon mercato. Questo è il motivo per il quale anche io sono stato assunto da apicoltori Buckfast tedeschi.

Il primo problema che emerge in un’azienda apistica che utilizza le Buckfast è il dover dipendere dai fornitori di regine, che siano madri o regine per la produzione di miele, perché i caratteri positivi che distinguono queste api sono regressivi e una regina nata da cella di sciamatura ha uno scarsissimo valore per un’apicoltura redditizia. Già dalla seconda generazione incontrollata, tutti i caratteri negativi che i breeders hanno soppresso dal materiale nativo di origine, fanno la loro allegra comparsa mandando in rovina piccole realtà apistiche.

L’agricoltura in Germania è roba da ricchi, fondata sulle regole dell’agribusiness capitalista e da un uso di macchinari e tecnologie di ultima generazione. Di pari passo, l’apicoltura tedesca segue il progresso e la scelta di pratiche incentrate esclusivamente sulla produzione di miele e buona parte del reddito dipende dai grandi monocoltori locali e viceversa perché la monocoltura, per essere redditizia, dipende dai contratti di impollinazione. Mediamente sono offerti 40 euro per alveare ai quali aggiungere la produzione di miele della coltura impollinata (ad esempio il melo) e, in più, anche qualche melario di colza, che in Germania è ovunque.

trasporto_alveariIn Germania si fanno diversi monofora ma, come ho fatto intendere, la fioritura più interessante è rappresentata dalla colza, che è coltivata in una maniera spropositata in tutte le pianure. La colza è una delle poche colture da reddito che resiste alle gelate notturne e, per questo motivo, la sua coltivazione è diffusissima nei paesi nordici. Nelle annate buone, con il solo raccolto di colza, si supera la media stagionale italiana perché la sua fioritura avviene poco dopo le piogge primaverili, quelle che a noi, spesso, mandano a monte l’acacia. In prefioritura questa crucifera riesce a trasformare ogni singola goccia d’acqua in nettare e il suo alto valore nutriente per l’alveare obbliga l’apicoltore ad usare ibridi con minore tendenza a sciamare e che, invece di sfruttare subito il nettare per ampliare la covata, lo immagazzinano nei melari.

Le vere Buckfast, non quei catorci che si allevano in Italia, sono molto longeve e bastano pochi telaini di covata per creare una massa d’api densissima fino al quarto o quinto melario e, finché c’è flusso nettarifero, va tutto bene; ma bastano 10 giorni di pioggia, dopo aver tolto i melari, per avere i primi problemi.

In ogni alveare, le bocche da sfamare diventano sproporzionate rispetto alle risorse di cibo e spazio e ci si ritrova con sciami grossi come una pecora e, via via che cominciano a sciamare in ogni apiario, in azienda arriva lo stress.

Naturalmente la colpa non può essere dell’ape perché gli apicoltori di Buckfast sono talmente invasati della loro scelta, che la colpa deve essere per forza del polacco, del bulgaro o del rumeno che ha fatto qualcosa che non andava fatto, come aver messo il terzo telaino al posto del quarto o aver dimenticato una cella reale.

Nel periodo delle sciamature i bar si riempiono di apicoltori che discutono sulla possibilità che basta far sciamare una cassa per creare un fenomeno universale di sciamatura e dei rispettivi lavoratori stagionali stranieri che parlano di quanto sono deficienti i loro capi.

Le teorie che vengono elaborate per non accettare che la Buckfast è un problema e non una soluzione cambiano di volta in volta, fatto sta che sono stato contattato da molte aziende a cui avevo mandato il curriculum per dirmi che non si trovavano bene con il loro stagionale e che se avessi lavorato per loro mi avrebbero pagato anche l’inverno, che mi sarei trovato meglio lì perché il clima della Baviera è simile a quello della Toscana… quante risate. Tutto questo per farvi capire che anche la Buckfast può sciamare e che lavorare per apicoltori utilizzatori di Buckfast è uno stress allucinante.

Ma ora continuiamo a parlare di apicoltura con le Buckfast.

Per lavorare in maniera redditizia con le Buckfast è obbligatorio avere solo le figlie delle riproduttrici selezionate; nell’azienda dove ho lavorato, erano regine vergini Buckfast fecondate in un’isola del mar del nord. Queste madri davano alla luce vergini pure, che mantenevano le caratteristiche anche dopo fecondazioni incontrollate, ma solo la prima volta. Quindi è obbligatorio allestire un paio di stazioni di fecondazione per le F1 da miele.

In azienda si usavano i nuclei di fecondazione mini plus che se sovrapposti possono essere invernati per poi farli crescere di nuovo in primavera ed allestire nuovamente le stazioni di fecondazione.

Per allevare celle reali bstazione_di_fecondazioneisognava utilizzare 40 alveari con api di razza Carnica per allestire gli starter in quanto la Buckfast è una pessima babysitter. È un’ape selezionata solo per la raccolta di nettare e quindi sconsigliatissima per un’azienda apistica a 360 gradi.

Il traslarvo delle larve venivano fatti dagli alveari madre e avevamo praticamente due linee, la classica Buckfast con regina scura e una linea chiara, esteticamente uguale alla Ligustica. Si capiva che era un ibrido solo osservando le operaie.

Sconsiglio l’uso di questo ibrido a tutti gli apicoltori italiani perché è un’ape che necessita di troppi interventi e ore di lavoro e oltretutto minaccia gravemente il nostro patrimonio genetico. Non potremo mai produrre in Italia ibridi Buckfast da esportare qualitativamente superiori a quelli dei breeders esteri e le produzioni italiane cambierebbero di poco se non di nulla perché per avere il massimo da questi incroci bisogna avere fioriture potenti con estensioni realizzabili solo nei paesi dediti alla monocoltura totale, dove si può guidare per un paio d’ore e vedere solo fioriture di una sola pianta.

Antonio Zangara

Info Redazione

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