Usiamo chiamare «stagione apistica» il periodo che va dalla prima visita primaverile all’invernamento. È una stagione che dura variamente a seconda della latitudine, dell’altitudine, e perciò delle condizioni climatiche di cui godono gli apiari e dell’ andamento stagionale.
Così vediamo che negli apiari alpini che si trovano sui 1000 m. in ottobre le api fanno il glomere che dura cinque mesi o poco più, mentre nella zona del Garda, in Toscana e altre regioni che godono di un clima mite lo stesso fenomeno avviene da novembre a dicembre e dura un mese e in Sicilia anche meno.
In autunno un andamento climatico freddo e ventoso può anticipare la formazione del glomere. Così avviene pure che una primavera precoce lo può sciogliere prima del previsto. Le api, per quella sensibilità che hanno rispetto alla temperatura, si allargano sui favi se fa caldo o si restringono su di essi, se fa freddo, abbandonando perfino i favi laterali.
Nel centro dell’alveare, dove risiede la regina, quando fa freddo, la temperatura è costante, 28-29 gradi nel breve periodo in cui non c’è covata, e 32-34 gradi in presenza di covata. Dalle osservazioni fatte da ingegnosi sperimentatori e scienziati si è potuto conoscere molti particolari sulla vita della api strette insieme tra i favi nella forma chiamata «glomere» (dal latino glomuseris = gomitolo). Se l’arnia e i telaini fossero trasparenti si vedrebbe il glomere come una palla, sezionata dai favi, spostata leggermente in avanti verso la parete che gode il sole.
Le api non vanno in letargo e avvicinando l’orecchio all’entrata si sente un leggerissimo fruscìo che può variare d’intensità e di tono a seconda delle condizioni dell’alveare. Un alveare normale emette un fruscìo, appena percettibile, continuo, uguale.
Battendo con le nocche sulla parete anteriore, il fruscìo aumenta d’intensità da somigliare a quello prodotto da un mucchio di foglie smosse, ma subito ritorna leggero, appena cessata la causa.
Invece il ronzìo emesso da un alveare orfano è più lungo, e in ogni caso anche di tono differente, quasi lamentoso. Se l’alveare è affamato il ronzìo è intercalato da toni più acuti prodotti dalla lotta che le api affamate fanno per accedere alle celle dove c’è ancora qualche stilla di miele.
Anche il ronzìo del glomere colpito da diarrea è differente da quello normale. In tal caso, annusando all’entrata si sente il caratteristico cattivo odore della diarrea. Con temperatura molto bassa, il ronzìo emesso da un alveare debole, può essere difficilmente percettibile al nostro orecchio. In tal caso, per accertarsi che le api siano vive, si può soffiare leggermente nella porticina. Se non si avvertisse l’immediata risposta, l’alveare è morto o sta morendo di fame o di diarrea.
Si apre allora l’alveare per conoscere la reale situazione. Possiamo trovare la famiglia intirizzita e affamata, con api immobili sui portafavi e qualche ape che si muove appena. Se si tratta di intirizzimento recente, si può recuperare l’alveare portandolo in ambiente caldo e versando sopra le api sciroppo un pò più che tiepido. Le api, come se si svegliassero da un brutto sogno, si muovono e riprendono a ronzare. L’alveare può essere salvato. È un fenomeno molto raro che ho sperimentato tre, quattro volte nella mia lunga esperienza apistica. Ho trovato pure conferma nell’esperienza di altri amici.
Nel caso in cui ci sia presenza di diarrea, può darsi che ne siano colpiti solo pochi favi. Questi vanno eliminati e quelli sani possono essere riuniti ad altra famiglia. La diarrea non è una malattia, ma un disagio dovuto a clausura troppo lunga e alveari deboli; oppure alla qualità scadente delle scorte. Anche i trasporti effettuati con tempo freddo possono esserne la causa.
Le api depositano il miele nella parte superiore e posteriore dei favi: Gli apicoltori attribuiscono questo atteggiamento istintivo alla preoccupazione della specie di tenere il miele e anche il polline, lontani dall’entrata e perciò più sicuri da eventuali tentativi delle saccheggiatrici. Le api del glomere si dispongono in modo che la grande massa è sistemata sulle celle vuote, spostata verso la parete anteriore, più calda, e solo una parte è a contatto del miele. Queste lo passano poi alle sorelle sottostanti, che a loro volta lo passano ad altre più lontane. La loro disposizione è simile a quella delle tegole di un tetto.
Le api dell’interno, in mezzo alle quali si trova la regina, godono di una temperatura che, nei vari momenti, va dai 28 ai 34 gradi, come detto sopra. Le api che si trovano alla periferia del glomere sopportano temperature più fredde e si scambiano’ gradualmente con quelle del centro. AI centro, vicine
alla regina, stanno sempre le più giovani, perché più adatte a produrre la pappa reale al momento in cui l’alveare decide di riprendere l’allevamento della covata.
Con andamento normale della stagione gli alveari non si aprono quando sono agglomerati, se la temperatura esterna non supera i 12°. Con tale temperatura si possono aprire per eseguire la prima visita primaverile, o per altri razionali motivi. Aperto l’alveare, si può vedere la situazione già alla prima occhiata: se vi sono molte api sui portafavi può darsi che scarseggi il miele e perciò è opportuno approfondire la visita per controllare lo stato delle scorte. Se non vi sono api sui portafavi può darsi che siano sistemate sotto la corona di miele, ancora abbondante. Dovendo estrarre qualche favo su cui è ancora raccolto il glomere, è necessario agire con delicatezza per non far cadere gruppi di api all’esterno; se per caso ciò accadesse bisogna raccogliere le api cadute e rimetterle nell’alveare, perché potrebbero rimanere fuori intirizzite.
Dopo un periodo di clausura prolungata, se il sole appare e la temperatura lo consente, le api sciolgono il glomere ed escono, a turno, per il «volo di purificazione». Se l’alveare è abbastanza forte pulisce il fondo dalle api morte e detriti. Se intorno all’apiario c’è la neve è opportuno spargervi dei fiorumi perché le api possano appoggiarsi per godere un attimo di sole dopo aver scaricato l’ampolla rettale che aveva trattenuto per settimane gli escrementi.
Sulla neve circostante resta sempre un certo numero di api morte. Non c’è da preoccuparsi: sono api vecchie. Così pure se lordano il predellino e la parete anteriore. Quando sulla neve circostante si vedono numerose macchioline color caffè è buon segno, le api hanno scaricato l’ampolla! Quando le api escono per il volo di purificazione si può approfittare per eseguire qualche breve controllo alle scorte.
Talvolta gli alveari più deboli sono restii a sciogliere il glomere ed è opportuno stimolarli ad uscire. A questo scopo si può scuotere l’alveare battendo su d’una parete o levare le assicelle coprifavi e poi chiudere subito. Tale disturbo induce la api a gettarsi sul miele con la conseguenza che l’ampolla rettale stretta dalla borsetta melaria spinge le api ad uscire per vuotare l’ampolla. Questa operazione si fa quando la maggior parte degli alveari sta compiendo il volo di purificazione, mentre qualcuno non dà segni di voler uscire.
La durata della ritenzione degli escrementi nell’ampolla dipende dalla forza della famiglia, dalla qualità del miele a disposizione e dalle sollecitazioni esterne che possono venire da urti di palle da gioco, passaggio vicino di auto pesanti, colpi di mazza o di spaccalegna. Le stesse cause, anche se non provocano la diarrea, spingono le api a consumare di più e quindi a esaurire le scorte prima del giungere della primavera. Le api che si trovano nella parte esterna del glomere, talvolta si riuniscono in gruppetti e al giungere del freddo intenso rimangono intirizzite, incapaci di superare i portafavi per congiungersi con la massa del glomere. Per evitare questo guaio si può praticare con una matita nel centro dei favi un foro attraverso il quale possono congiungersi al glomere; oppure spazzolare il gruppo sopra il glomere.
Il glomere dimostra ancora una volta che l’alveare è una unità dove il singolo conta soltanto se unito al resto della famiglia. E per la sopravvivenza, nel clima alpino, le api del glomere devono essere almeno ventimila, circa 2 Kg.
Come scritto sopra il glomere è sensibile ad ogni rumore, urto o scossa che lo metta in allarme e perciò l’apicoltore deve creare intorno agli alveari un ambiente tranquillo, lontano dai rumori e dai venti. Tuttavia, quando ne ravvisi la necessità, può aprire, controllare e rimediare.
Abramo Andreatta.