lunedì , 9 Settembre 2024
Un pò di buona stagione per le api. Pag. 2 di 2
Foto di Pasquale Angrisani

L’uso dei repellenti per la rimozione dei melari: vale la pena di utilizzarli?

Introduzione
La rimozione dei melari, al momento della raccolta del miele, è preceduta da un procedimento che permetta di allontanare le api che ricoprono i favi.
I metodi utilizzabili sono diversi e non esiste un sistema che possa essere consigliabile come il migliore in assoluto, in quanto le esigenze sono diverse a seconda del tipo di apicoltura: di fatto ogni apicoltore utilizza il sistema che meglio si adatta alle sue specifiche necessità, spesso accoppiando più di un sistema o usandoli in alternativa.
La tabella l riporta un confronto fra i diversi metodi, evidenziando vantaggi e inconvenienti di ciascuno.
Dal punto di vista della qualità del miele ottenuto è certo che l’impiego di sostanze repellenti (fumo compreso) presenta maggiori controindicazioni rispetto ai sistemi meccanici (apiscampo, scuotimento e spazzolamento dei singoli favi) o fisici (soffiatore).
L’uso di sostanze repellenti è variamente diffuso: in alcuni paesi caratterizzati da aziende apistiche di grandi dimensioni è il sistema più popolare e diffuso (Stati Uniti, Canada, Australia). In altri è pressoché sconosciuto. In Italia si può dire che è poco conosciuto e usato a livello nazionale, ma costituisce il sistema di scelta in alcune aree particolari (per esempio in alcune zone dell’ Abruzzo).
Questo articolo mette in evidenza i rischi collegati all’uso dei repellenti, in particolare di quelli dotati di forte tossicità per l’uomo (fenolo e nitrobenzene). La domanda del titolo ha, per chi scrive, un’unica risposta, ma è bene fornire alcune informazioni obiettive e lasciare al lettore la responsabilità di trovare la soluzione che gli sembra più opportuna.

Fenolo (acido fenico)
Sembra che l’uso del fenolo come repellente abbia avuto origine nella seconda metà del secolo scorso in Inghilterra, ma il suo uso si è diffuso soprattutto negli anni Trenta, nel Nord America e in Australia, dove era noto come “carbonic acid”. Nei primissimi anni Sessanta la coscienza della pericolosità di questa tecnica ha stimolato la ricerca di repellenti altrettanto efficaci e non tossici, che hanno successivamente e progressivamente sostituito il fenolo in questi paesi.
L’applicazione del fenolo agli alveari viene fatta per mezzo di speciali coprifavi costruiti allo scopo. Ogni dispositivo è costituito da una cornice di legno, alta 3-5 cm, delle stesse dimensioni di un normale coprifavo, sulla quale viene applicato un riquadro di materiale assorbente (di solito più strati di tela di juta), coperto con una lamiera dipinta di nero sul lato esterno, per aumentare il riscaldamento solare. Per fissare meglio il materiale assorbente verso l’interno a volte il telaio porta tre strati: una rete metallica, il materiale assorbente e la lamiera.
Prima dell’uso il materiale assorbente viene spruzzato con una soluzione acquosa di fenolo al 20-50 % (o anche 90% secondo i casi) in modo da renderlo uniformemente umido. Il coprifavo viene messo sull’alveare e lasciato il tempo necessario. Se la temperatura è elevata e l’insolazione sufficiente a riscaldare il coperchio del coprifavo, il fenolo evapora rapidamente e le api che occupano il melario sono scacciate verso il nido nel giro di poco tempo (3-5) minuti, a seconda della temperatura dell’ aria, della presenza o meno di sole, dell’altezza del melario). Alcuni coprifavi (5-10) sono sufficienti per mettere all’ operatore di lavorare in rapida successione, senza tempi morti. I coprifavi vengono ricaricati di soluzione di fenolo quando se ne presenta la necessità.
Nelle giornate nuvolose il tempo richiesto per una evaporazione sufficiente può essere molto più lungo: quando la temperatura è più bassa di 24°C C il sistema non è più efficace. In questi casi si può riscaldare la lamiera con una fiamma a gas, ma il livello di evaporazione del fenolo diventa difficilmente controllabile. Il sistema è quindi valido per climi piuttosto caldi e risulta meno efficiente con melari alti. La fuga delle api può essere ostacolata dalla presenza di escludi-regina, che può essere consigliabile togliere prima di iniziare il prelievo dei melari.
Le maggiori controindicazioni del metodo riguardano la pericolosità della sostanza usata sia per l’operatore che per il consumatore. I rischi della manipolazione delle soluzioni di fenolo concentrato sono note sin dai primordi della tecnica: sulla pelle può causare ustioni anche severe e uno schizzo negli occhi può accecare. A parte questo tipo di incidenti anche il contatto con la pelle o l’assorbimento dei vapori per via polmonare possono essere causa di gravi danni per l’operatore, essendo il fenolo una sostanza tossica che produce danni a carico del sistema nervoso, circolatorio e respiratorio. Il fenolo concentrato deve quindi essere manipolato con prudenza, indossando guanti in gomma e occhiali protettivi e tenendo a disposizione acqua per sciacquare eventuali schizzi accidentali sulla pelle.
Occorre evitare di respirare i vapori tossici, effettuando la preparazione dei coprifavi all’esterno o in un locale ben aerato. Per evitare di respirare i vapori tossici durante il trasporto è utile chiudere i coprifavi in sacchi di plastica. In caso di trasporto con veicoli la cui cabina di guida non sia separata totalmente dal materiale trasportato si deve mantenere costantemente una buona aerazione. Occorre ugualmente ventilare i locali di smelatura, se l’odore del repellente persiste.
Il rischio di residui della sostanza del miele estratto è sempre presente: occasionalmente si possono avere gravi contaminazioni dovute allo sgocciolamento del fenolo sul melario, ma anche quando la tecnica venga applicata con tutte le precauzioni del caso si possono trovare residui rilevabili all’analisi gascromatografica. Da uno studio canadese sull’argomento (Daharu e Sporns, 1984) risulta che i residui presenti nel miele di melari raccolti con il sistema descritto (10 ml di fenolo al 90%, in questo caso) variano tra 0,6 e 14,0 ppm (6,6 ppm in media). Sono maggiori quanto maggiore è il tempo, la temperatura e la superficie di esposizione (miele proveniente da celle solo parzialmente piene risulta più contaminato).
È maggiore per il miele non opercolato che per quello protetto dall’opercolo, come pure maggiore è la contaminazione del miele nella parte alta del melario. La cera presenta un livello maggiore di contaminazione, che permane anche negli anni successivi. L’esposizione dei favi o del miele all’aria non permette di diminuire il livello di contaminazione in modo apprezzabile.
Secondo uno studio australiano (Wilshire, 1993) l’uso del fenolo nel prelievo dei melari produce residui apprezzabili di questa sostanza nel miele estratto nel 90% dei casi. La contaminazione del miele con fenolo è rilevabile spesso anche con l’analisi organolettica. Da esperienze personali
risulta che anche livelli di contaminazione relativamente bassi (0,2 ppm) sono già rilevabili dall’ odore, in mieli naturalmente poco aromatici (ad esempio acacia e sulla). Appare quindi evidente che i rischi della tecnica sono tali che risulta fortemente sconsigliabile.

Nitrobenzene (essenza di mirbana)
Un’altra sostanza che viene spesso usata in modo analogo al fenolo è il nitrobenzene, noto come mirbana (o essenza di mirbana). Anche in questo caso la controindicazione principale riguarda la tossicità del prodotto, che ne rende rischioso l’uso per l’operatore e altamente indesiderabile la presenza nel miele. Il nitrobenzene può penetrare nell’ organismo attraverso l’inalazione dei vapori o il contatto con la pelle.
Ha un’azione abbastanza lenta che si esplica con sintomi a carico del sistema nervoso (sonnolenza, mal di testa, vertigini). I metaboliti che si formano dal nitrobenzene a livello del fegato e dell’intestino hanno la capacità di rendere inattiva nel trasporto dell’ossigeno l’emoglobina del sangue: i casi più gravi di intossicazione si evidenziano quindi con una cianosi, cui può seguire emolisi e ittero.
La manipolazione di questa sostanza e dei coprifavi imbevuti della stessa deve quindi farsi con le stesse precauzioni indicate per il fenolo. La contaminazione del miele con questa sostanza non è studiata quanto quella con fenolo, in quanto di uso molto meno comune, ma data la pericolosità della sostanza anche solo il rischio di contaminazione accidentale è sufficiente per renderne l’uso altamente sconsigliabile.

Aldeide propionica
La ricerca di sostanze che potessero validamente sostituire il fenolo ha messo in evidenza l’utilità dell’anidride propionica in questo senso. L’uso di questa sostanza non si è mai diffuso molto.
L’articolo in cui si illustra per la prima volta la tecnica di utilizzo (Bee World, 1961) suggerisce l’uso di un dispositivo di evaporazione in cui un soffietto incorporato al coprifavo permette di creare un flusso d’aria che facilita lo spostamento dei vapori di anidride propionica e il conseguente allontanamento delle api.
L’anidride propionica viene però usata anche con coprifavi identici a quelli che si usano con il fenolo. Inizialmente veniva consigliato di spruzzare il materiale adsorbente con una miscela estemporanea di anidride propionica (15 mi) e acqua (15 mi). La miscela non può essere preparata prima perché a contatto con l’acqua l’anidride si trasforma nel corrispondente acido.
In seguito è stato consigliato anche l’uso dell’ anidride propionica non diluita. L’efficacia sembra simile a quella del fenolo, forse leggermente migliore quando la temperatura non è molto elevata e nelle giornate nuvolose, ma sempre non sufficiente nei giorni freschi. L’anidride propionica pure è corrosiva e deve essere manipolata con precauzione, ma non è dotata di particolare tossicità.
A contatto con il miele si trasforma in acido propionico, sostanza che si trova naturalmente in molti alimenti, per esempio nei formaggi, in quantità fino all’l %. Nel miele prodotto con questa tecnica se ne possono trovare residui compresi tra 1,1 e 24,4 ppm (7,9 ppm in media) (Kwan e Sporns, 1988).

Anidride butirrica
Bee Go è il nome commerciale di un prodotto repellente, costituito per più dell’80% di anidride butirrica, coperto da brevetto negli Stati Uniti e commercializzato ampiamente in tutti i paesi anglosassoni a partire dal 1964.
È il repellente attualmente più utilizzato negli Stati Uniti. L’uso è analogo a quello degli altri repellenti e le caratteristiche di evaporazione e di efficacia sono simili a quelle indicate per l’anidride propionica. L’evaporazione tende a essere più rapida rispetto al fenolo; il riscaldamento solare non è indispensabile e non è per questo necessario dipingere in nero la superficie esterna dei coprifavi. La quantità da utilizzare e la frequenza di ricarica dei coprifavi dipendono dalle condizioni di evaporazione.
Il prodotto deve essere manipolato con prudenza, ma non presenta particolare tossicità per l’operatore. Il difetto principale di questa sostanza è costituito dall’odore, fortemente sgradevole, che disincentiva all’uso di questo prodotto molti apicoltori che comunque operano con sostanze repellenti. A parte il rischio di contaminazione accidentale del miele (rischio sempre presente con qualsiasi repellente), il livello dei residui lasciati da un uso corretto sono stati stimati da uno studio canadese (Kwan e Sporns, 1988).
Nella sperimentazione condotta il miele estratto da melari liberati dalle api con coprifavo impregnato con 10 ml di Bee Go, applicato in un giorno con poche nubi e con una temperatura dell’aria di 22°C, lasciato in posa solo il tempo necessario (tra 4 e 13 minuti) conteneva, nella maggior parte dei casi, solo residui al di sotto della soglia di rilevabilità (0,5 ppm).
Solo nel caso di miele non opercolato i residui salivano a valori di 1,7 e 5,2 ppm. La sostanza rilevata non è anidride butirrica, ma il corrispondente acido, che si forma a contatto con l’acqua contenuta nel miele. L’acido butirrico è contenuto naturalmente nel burro e nel formaggio a livelli molto più elevati dei residui rilevabili nel miele. Il rischio di produrre mieli dannosi per la salute umana è quindi inesistente, anche nel caso di grave contaminazione accidentale. L’uso corretto permette di ottenere miele pressoché privo di residui, ma è sempre presente, in caso di uso improprio, il rischio di ottenere mieli non commercializzabili in quanto marcati dall’ odore della sostanza usata.

Aldeide benzoica (benzaldeide)
Questa sostanza è stata testata per la prima volta nel 1962, nella ricerca di sostanze che potessero sostituire il fenolo.
Questa sostanza risulta attiva a temperature più basse rispetto alle altre fin qui elencate (tra i 15 e i 27° C), sia in giorni sereni che nuvolosi. Sopra i 27° C, in condizioni di sole pieno, una evaporazione troppo violenta, invece di far muovere le api verso il basso, le intontisce e le immobilizza di conseguenza sui favi.
Viene consigliato di usarla con un coprifavo costituito solo dalla cornice (altezza 5 cm) e dallo strato assorbente (per esempio un riquadro di fibre pressate), senza il tetto di lamiera, per evitare un eccessivo riscaldamento del dispositivo. Oppure di verniciare il coperchio metallico di bianco o di usare il coprifavo con un isolamento esterno o con un melario vuoto, che faccia da camera di diffusione dei vapori.
In giornate molto calde può essere utile ruotare il coprifavo di 45°, in modo da non chiudere totalmente l’alveare.
La benzaldeide viene usata pura, in quantità compresa fra 4 e 15 ml. È spesso utile qualche buffata di’ fumo, per incitare le api a spostarsi verso il basso. La benzaldeide è una sostanza con odore di mandorle amare, classificata come “nociva” quando pura, ma non dotata di particolare tossicità.
Esposta all’aria si ossida rapidamente in acido benzoico: la trasformazione è evidente in quanto alla perdita. del caratteristico odore si accompagna la formazione di cristalli bianchi. Deve quindi essere conservata in .recipienti ben chiusi, in luogo fresco e al riparo dalla luce. Nel miele l’ aldeide benzoica si trasforma parzialmente nel corrispondente acido.
Il livello di contaminazione del miele deve quindi essere stimato attraverso il dosaggio sia dell’aldeide, che dell’acido benzoico. Essendo tale acido contenuto naturalmente nel miele in quantitativi molto variabili (da 0,7 a 215 ppm, dato citato da Kwan e Sporns, 1988), la stima dei livelli di contaminazione risulta poco agevole.
Una sperimentazione condotta in Canada sull’argomento (Kwan e Sporns, 1988) sarebbe a favore di un basso livello di contaminazione, poiché in tutti i campioni di miele prelevati da melari trattati con 10 mI di sostanza evaporante, le tracce di benzaldeide risultano non rilevabili, anche se è sempre presente l’acido benzoico del quale, tuttavia, non è possibile definire l’origine. Le conseguenze dell’uso di questo repellente per la qualità del miele sono quindi analoghe a quelle indicate per l’anidride butirrica.

Aspetti legali e conseguenze
Ci si può chiedere se l’uso di repellenti nella produzione del miele è una pratica legale o meno. L’uso di queste sostanze non sembra vincolato ad autorizzazione preventiva, visto che non si tratta di applicazioni finalizzate alla sanità dell’alveare.
Nelle pratiche produttive l’apicoltore è però tenuto ad applicare sistemi che gli permettano di ottenere miele che non contenga «”.sostanze di qualsiasi natura in quantità tali da presentare un pericolo per la salute umana..;» (Legge 753/82, art. 4, secondo comma) e non presenti «…odori e sapor estranei…» (legge 753/82, art. 4, quarto comma, lettera a).
Il miele con odori e sapori estranei non è idoneo alla vendita per uso diretto, ma può comunque; ai ‘termini di legge (Legge 753/82, art. 5, secondo comma), essere venduto come “miele per pasticceria” o “miele per l’industria”.
Poiché il rischio di produrre miele contaminato con sostanze pericolose per la salute umana è sempre presente quando si impieghino repellenti tossici (fenolo e nitrobenzene) il loro uso deve essere considerato di fatto vietato.
Il rischio di produrre mieli che non siano conformi al secondo disposto citato è presente anche con i repellenti non tossici (anidride propionica, anidride butirrica e benzaldeide).
Il rischio riguarda soprattutto la contaminazione accidentale (sgocciolamento del repellente sui melari, contatto del materiale impregnato con le costruzioni di cera che superano lo spessore della cornice, evaporazione eccessiva dovuta ad alte temperature o eccesso di prodotto), ma non può essere esclusa la possibilità che anche i minimi residui lasciati da un uso corretto siano percepibili in mieli particolarmente delicati.
Questo fatto deve essere tenuto presente dal produttore nel momento in cui sceglie il sistema da usare per liberare i melari delle api e portarlo ad optare per l’uso di repellenti (non tossici) solo quando un sistema meccanico o fisico sia inapplicabile.
Il produttore ha inoltre la responsabilità di verificare l’idoneità del miele ottenuto prima di metterlo in vendita come alimento destinato all’uso diretto attraverso un’attenta analisi organolettica. Vale la pena?

Dr.ssa Maria Lucia Piana

Fonte: L’Ape Nosta Amica Anno XVIII Numero 5 Bimestre Settembre Ottobre 1996 pag.18-22.

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