In un giorno un’ ape visita in media 700 fiori. L’ ape in campo può compiere da una dozzina di viaggi giornalieri di bottinatura, fino a 150 nei casi limite, con un carico di 40 -70 mg di nettare per ogni singolo viaggio.
Un carico di polline pesa circa 8 – 12 mg. Uno studio condotto attraverso respirometria ha dimostrato che un’ ape consuma 12mg di zucchero per ogni ora di volo. Il nettare raccolto dalle api può avere una concentrazione di zuccheri dal 15 al 50%. Un’ altro studio ci dice che un’ ape ingerisce tra 100 e 900 mg di nettare in 5 giorni, a seconda che sia bottinatrice o ape di casa.
Un’ ape consuma mediamente 65 mg di polline nel periodo di 10 giorni, in cui svolge la mansione di nutrice. Nel caso di piccole distanze, le bottinatrici per compiere il tragitto consumeranno solo il miele prelevato nell’ alveare prima del volo.
Nel caso di tragitti più lunghi, esse consumeranno anche una parte del nettare raccolto. Il polline non viene consumato direttamente, ma immagazzinato per qualche giorno, durante i quali subisce una lattofermentazione che permetterà alle api nutrici di consumarlo e digerirlo.
Saranno così in grado di produrre il cibo per nutrire le larve. Le larve saranno nutrite con pappa reale e polline; la regina riceverà solo pappa reale. Le bottinatrici al ritorno nell’ alveare trasferiscono il nettare raccolto alle api ricevitrici; questo scambio di cibo caratteristico degli insetti sociali viene chiamato trofallassi.
Vari studi confermano l’ effetto sinergico degli insetticidi sistemici, in dosi infinitesimali e sub letali nell’ incremento degli effetti mortali del nosema.
L’ interazione letale per gli invertebrati tra pesticidi e parassitosi non è una scoperta nuova, tant’ è che è stata studiata ed è comunemente attuata per la lotta ai parassiti, ed è particolarmente efficace per gli insetti sociali (imenotteri: formiche, vespe, api; isotteri: termiti; omotteri. afidi, ecc.).
Nelle informazioni commerciali leggiamo che : “limitate dosi di Imidacloprid, nella zona trattata, disorientano le termiti e inceppano il loro naturale comportamento di pulizia. L’ imidacloprid rende i funghi patogeni 10.000 volte più pericolosi per le termiti”.
Analogamente è comprovato come le molecole presenti nell’ alveare comportino migliori condizioni per lo sviluppo di Varroa destructor . Anche uno studio del 2008, pubblicato solo nel 2012, del dottor Jeffrey Pettis, leader del gruppo di ricerca messo in campo sul CCD dal Ministero dell’ Agricoltura degli Stati Uniti, ha accertato che la vulnerabilità delle api all’ infezione di nosema aumenta esponenzialmente se vi è contemporaneamente una esposizione all’ imidacloprid anche a dosi difficilmente rilevabili.
Molti apicoltori hanno segnalato e descritto le conseguenze degli avvelenamenti.
Nel caso di forti contaminazioni è stato osservato : – scomparsa totale delle bottinatrici e di parte delle api nutrici, assenza di api morte o morenti nei pressi dell’apiario.
Covata sana, scarsamente presidiata, bassa infestazione da varroa, scarse spore di nosema. – spopolamento con presenza di numerose api morte o morenti nell’ alveare o nei pressi dell’ apiario.
Api morenti con movimenti convulsi e scoordinati, incapaci sia di volare sia di mantenersi sui favi; la mortalità può essere circoscritta nel tempo oppure protrarsi per più giorni, – le api non volano più con orientamento e scopo, atterrano rovinosamente sul predellino oppure davanti l’ arnia, saltellano girano su se stesse con movimenti spasmodici e scoordinati.
Osservando attentamente si notano api morte o agonizzanti (sempre in numero limitato in confronto ai classici fenomeni di avvelenamenti conosciuti) davanti e dentro le arnie. Nei favi ci sono pupe morte dentro le celle con la ligula estroflessa.
Covata fresca in posizioni anomale, quella opercolata fortemente diradata. Anche nelle zone limitrofe all’ apiario (50-100 metri) si notano api incapaci al volo, morte o semiparalizzate negli spazi brulli, sui sentieri o nei cortili, in molti casi è stato osservata la sparizione delle “api di volo” in corrispondenza delle prime ricognizioni mattutine per la raccolta di rugiada contaminata.
Le api esposte a dosi sub-letali di insetticidi neonicotinoidi, riducono significativamente la capacità di riconoscere gli odori, sia associabili ai fiori che al feromone della regina.
Le api hanno mostrato una significativa riduzione della capacità di orientarsi, con alterazione della capacità di “homing” (orientamento verso il nido).
- nel raggio di 30-50 metri dalle arnie può capitare di vedere qualche ape incapace di volare e con movimenti scoordinati;
- a terra sotto la porticina si possono notare api morte in numero limitato;
- le api mostrano molta indecisione nell’ uscire e nel rientrare nell’ arnia;
- le famiglie che in primavera davano buone aspettative di sviluppo si bloccano, la popolazione non cresce o anche diminuisce; quelle che avevano il melario arrivano solo al terzo o quarto telaino.
Più avanti possiamo trovare famiglie orfane, molto polline e scorte di miele; dalle nuove celle reali nascono regine più piccole. Nelle celle reali e di operaie si possono trovare api imbozzolate al rovescio con la testa verso l’ interno.
“Nel 2007 Francesco Campese su Apitalia in un lungo articolo descriveva gli effetti delle intossicazioni da neonicotinoidi: “
I pollini contaminati si mescolano agli altri pollini raccolti durante la stagione e dormono nei favi, per cui le api sono soggette ad una continua pressione tossica.
La cattiva alimentazione delle api nutrici ha come conseguenza la produzione di una pessima pappa reale con gravi conseguenze anche per le larve e la regina.
La covata intossicata si presenta bucherellata come in presenza di Nosema, e la continua rimozione delle larve nei primi giorni di vita dopo alcuni cicli la fa apparire disomogenea in tutto il favo, simile alla covata di una regina esaurita.
E’ possibile vedere qualche larva di mezza vita, contorta nella cella in posizione simile a quella assunta nella peste europea. Il sintomo più evidente si ha quando le larve filano il bozzolo, ma muoiono prima di trasformarsi in pupe.
Abbiamo visto nascere api molto piccole, oppure api dimenarsi inutilmente nel favo perché imbozzolate con la testa verso l’ interno, effetto perverso del disorientamento. Se l’ intossicazione è sub-letale le api giovani che consumano come primo alimento il polline, in brevissimo tempo cominciano a fare l’ addome scuro, mentre le ali e il pelo sono completamente integri.
Se si vanno ad aprire, lo stomaco appare come un sottile filamento bianco, come se fosse bruciato, mentre nella giovane sana è marrone a fasce trasversali ben visibili. Queste api consumano moltissimo, sono incapaci di portare polline o nettare, hanno vita molto breve e sono aggressive.
Le api sane tentano in continuazione di rimuoverle, come fanno con quelle ammalate di “mal nero”, e il predellino è in certi periodi un caos di api che strattonano altre api, e poche che lavorano.
Il primo impatto quando si apre l’ arnia è terrificante: 10-20 api piccole gonfie di polline che saltano sui telaini o girano in tondo, o capovolte agitano le zampe e le ali, e questo per giorni e settimane e mesi; poi sotto si trova il peggio.
La regina, che è una grande consumatrice di pappa reale derivata ovviamente dal polline, è tra le prime a subire le conseguenze dell’ intossicazione che vanno da un’ azione inibente la prolificità, alla sterilità, fino alla morte.
Nell’ allevamento delle regine, una forte intossicazione della pappa reale contenuta nel cupolino determina la morte della larva prima o subito dopo l’ opercolatura della cella, e allora si trova o il cupolino con la cera , ma vuoto, oppure la larva nera , afflosciata sulle pareti.
Quando facevo completare le celle reali dalle casse orfane, in certi periodi le larve erano tutte in queste condizioni: una poltiglia nera ed informe. Il motivo era chiaro: tutta l’ energia della famiglia si concentrava nell’ allevamento con forte accumulo di veleni.
Capita ancora negli starter per l’ accettazione degli innesti: e allora si trovano file di cupolini con ancora la pappa ma le larve rimosse. Il fenomeno si ritrova anche nell’ allevamento naturale da sciamatura o da sostituzione. Diminuendo il grado di intossicazione, la regina muore allo stato di pupa.
E’ di colore bianco latte con il corsaletto tipicamente rigonfio d’ acqua. Le regine sopravvissute presentano un corsalettto debole che si infossa facilmente anche usando il marchio con estrema leggerezza.