giovedì , 30 Novembre 2023
Gli impegni invernali e in magazzino
Foto di Emilian Robert Vicol da Pixabay

La pace dell’apiario

E’ un godimento che conoscono gli apicoltori appassionati. Dopo la partecipazione alla vita nell’ambiente di lavoro, in quello familiare, in quello politico, associativo, amministrativo e altri, ci si ritira volentieri fra gli alveari, dove tra il profumo dei prodotti delle api, si gode il ronzio delle bottinatrici che vanno leggere verso i pascoli e tornano cariche di bottino con un volo calmo, decisamente orientate all’entrata della loro casa. Il colore smagliante delle turgide pallottoline di polline ci dà un senso di tranquillità e di pace che ci viene dal conoscere lo svolgersi armonioso della vita nell’alveare.

Guardando l’entrata, noi vediamo, anche oltre le pareti dell’arnia, mentre cedono il prezioso carico alle giovani ancora casalinghe, che comprimeranno il polline nelle celle, e vediamo ancora altre api casalinghe cibarsi di polline e miele per produrre la pappa reale di cui si nutre la regina e le larve più giovani. Ci avviene sempre che, mentre godiamo la pace dell’apiario osservando dall’esterno, non vediamo l’ora di poter aprire gli alveari per osservare da vicino la loro situazione dopo la lunga clausura che ci ha costretti a rinunciare alla visione diretta. E qui cedo alla tentazione di esporre la mia opinione riguardo alla opportunità di visitare gli alveari. Ho trovato chi è molto severo, a questo riguardo e dimostra di temere assai gli effetti negativi delle visite. Si arriva a consigliarne appena tre in una stagione. lo sono del parere che non si può stabilire a priori il numero delle visite che merita un alveare. Affermo senza timore di esagerare, che un alveare merita d’essere visitato tutte le volte che le condizioni lo richiedono; e queste sono sempre in numero superiore a tre.

D’altra parte ho notato spesso che si esagera nel senso contrario: si visita troppo poco. Qualcuno non ha tempo, altri perché non giudicano favorevoli le condizioni climatiche e alcuni perché temono le punture, fatto sta, che sono anche troppo frequenti i casi in cui ci si trova di fronte a dei guasti dovuti alla mancanza delle visite necessarie. Anch’io insisto nel consigliare di aprire gli alveari, dopo aver esaminata la situazione, dopo aver preparato tutto il materiale che si presume di dovere usare programmando perfino l’ordine delle operazioni da eseguire: non aprire l’alveare e poi pensare al da fare, ma invece pensare attentamente e poi aprire!

Nel dubbio sullo stato d’un alveare, consiglio sempre di aprire. Le visite frequenti, se sono fatte bene, hanno anche il vantaggio di abituare le api alla nostra presenza, al nostro odore, le rendono più miti. Non lo scrivo per averlo sentito dire, ma dopo aver compiuto lunghe e ripetute esperienze.

La raccomandazione di programmare minuziosamente ogni visita, vale soprattutto in occasione della «prima visita primaverile.

Premetto che non ho cognizioni sufficienti per dare consigli agli apicoltori che stanno lottando contro la varroa. Posso tuttavia assicurare che ne siamo preoccupati e stiamo lavorando per essere pronti a prevenire e curare l’inarrestabile flagello.

E finalmente prepariamoci a compiere la prima visita. Come ho scritto sopra, dobbiamo chiederci alcune cose precise e attrezzarci per compierle:
1) qual è la forza di ciascun alveare?
2) di quali provviste dispone?
3) qual è lo stato di salute?
4) quali attrezzi sono necessari?

Premetto ancora una cosa: I miei suggerimenti sono destinati agli apicoltori di mezza montagna, mentre nelle zone più miti, forse qualcuno ha già compiuto la visita, di cui mi occupo e sopra i mille metri c’è ancora tempo. D’altra parte, più che al calendario scritto sulla carta, io mi riferisco a quello climatico ambientale, del quale ogni apicoltore deve tenere conto e comportarsi logicamente in merito.

Quando le bottinatrici volano alla raccolta del polline, all’interno la deposizione della covata è già iniziata, ce n’è già di opercolata e in qualche caso sono già nate le prime api. Dopo due-tre giorni di volo, se la giornata è serena senza vento e la temperatura supera i 10 gradi, nelle ore più calde, fra le 10 e le 14 possiamo compiere la visita. Prendiamo la cassetta contenente l’affumicatore con rotoli di cartone ondulato, la levetta, la spazzola, ecc. Come sempre, leviamo delicatamente la tettoia, senza scuotere l’arnia, alziamo un angolo delle assicelle coprifavi, immettiamo uno sbuffo di fumo, scopriamo quindi tutto il nido sostituendo le assicelle coprifavi con un quadrato di panno che durante la visita adatteremo opportunamente.

Un’occhiata può dirci la forza dell’alveare: se occupa 5 – 6 favi è forte abbastanza per questo momento. Alle volte sopra i favi non si vedono api perché sono ancora agglomerate nella parte dei favi sotto la fascia del miele, ma osservando vediamo buone famiglie.

la pace dell'apiarioIn questa visita non estraiamo completamente i favi, basta spostarli uno alla volta quanto serve per controllare le provviste di miele. I favi devono avere in alto una fascia di miele opercolato larga 5 – 6 cm. Se qualche favo è scarso, occorre che sia abbondante il vicino. Altrimenti è necessario spostarlo verso l’estremità del glomere e sostituirlo con un favo ben fornito di miele. Il glomere in questo momento si sarà ridotto di qualche favo. Se la forza è almeno di quattro favi coperti dalle api, si levano quelli lasciati vuoti, si mettono subito in cassetta per non creare tentativi di saccheggio. I favi che contengono miele possono essere usati per completare le scorte di alveari che ne sono scarsi, oppure vanno sistemati in, magazzino. In ogni caso i favi non coperti dalle api vanno levati dal nido, e lo spazio lasciato va riempito da materiale asciutto, come polistirolo, gomma piuma, ecc. Questa precauzione è importante perché altrimenti i favi contenenti miele e polline assorbendo l’umidità emanata dalla crescente covata, andrebbero guastandosi e costituirebbero un pericolo per la salute dell’alveare. Infatti, l’umidità che in un primo tempo si condensa sui favi freddi, penetra poi attraverso gli opercoli, viene assorbita dal miele, del quale provoca la fermentazione, che si propaga al polline che doveva conservare. Il polline fermentato è causa di stitichezza e nosemiasi per le nutrici che devono usarlo per produrre la pappa reale. Come si vede, i favi non abitati lasciati nel nido, possono diventare causa di una serie di malanni che si possono evitare lasciando nel nido solo i favi coperti dalle api. Più tardi questi favi, conservati asciutti, e puliti, in magazzino. Se un alveare non ha più di tre telaini abitati, va riunito ad altro debole col metodo del giornale, operando sulla sera, quando ogni volo è cessato.

Si mette sopra il nido ricevente un giornale, bucherellato finemente con un ago. Sopra di questo si mette il nido da riunire, senza fondo, notando bene che non vi siano fori d’uscita. Così le api per uscire, rosicano il foglio di giornale e si riuniscono senza lotta. Se la temperatura, è ancora rigida e le api sono in glomere, si può riunire trasportando semplicemente i tre favi compatti vicino al glomere di quello che riceve, con delicatezza per non far cadere le api. Anche in questo caso la riunione avviene pacificamente. Si elimina la regina più scadente, oppure si lascia fare alle api. Nel caso in cui l’alveare da riunire ha fondo fisso, si possono usare due melari al posto del nido.

Insisto sull’opportunità di riunire le famiglie deboli perché con famiglie forti, nella buona stagione, si può facilmente aumentarne il numero, oppure avere un buon prodotto, mentre le famiglie deboli si perdono facilmente per spopolamento e per malattia, e in ogni caso, richiedono attenzioni e cure che non ripagano mai.

Un caso in cui la riunione è necessaria è quello dell’orfanità. Negli alveari dove non si pratica il cambio sistematico delle regine che hanno compiuto i due anni, la orfanità si riscontra nel 10% degli alveari. Anche un apicoltore poco esperto, riconosce un alveare orfano, appena aperto, dal comportamento straordinario delle sue api: non stanno mai raccolte tranquillamente in glomere, emettono un ronzio che si distingue nettamente da quello degli alveari normali. Se in questi è già iniziata la deposizione di uova, o ci sono già celle aperte con larve, o addirittura opercolate, noteremo che nell’alveare orfano non c’è covata di operaie. Se negli alveari normali la covata opercolata non c’è ancora, per poter fare il confronto, è meglio attendere qualche giorno per esserne sicuri. Quando poi saremo sicuri dell’orfanità, è necessario riunire l’alveare orfano ad uno normale col metodo usato per gli alveari deboli, come descritto sopra.

Qualche apicoltore, trovando un alveare senza regina, ma forte, è tentato di aggiungere covata fresca perché se ne allevi una. E’ un tentativo che non consiglio per i seguenti motivi:
1) la nuova regina nascerebbe in un momento in cui non vi sarebbero i fuchi per fecondarla e la temperatura stessa difficilmente sarebbe favorevole ai voli di fecondazione;
2) Probabilmente nell’alveare ci sono già le api fucaiole o figliatrici, che non allevano regine valide, ma soltanto fuchi.
3) L’alveare orfano si esaurisce presto nell’allevamento dei fuchi, le api logorate in questo sforzo invecchiano precocemente e l’alveare in poco tempo non sarà capace di salvare i favi dall’invasione delle tarme che trovano l’ambiente migliore per la loro vita.

Nel migliore dei casi, l’alveare rimasto senza covata per troppo tempo, diventerebbe debole e incapace di raggiungere il melario; il risultato sarebbe quello di avere lavorato senza alcun frutto.

Invece la, riunione potrà darci grande soddisfazione: ancora una volta si può affermare che a parte il valore delle arnie e dei favi, vale di più un alveare forte di cento deboli.

la pace dell'apiarioSe nell’ultimo periodo di gennaio il maltempo ha impedito il volo di purificazione, può darsi il caso di trovare famiglie colpite da diarrea. Infatti può avvenire che un lungo periodo di clausura costringa le api ad accumulare nell’ampolla rettale una quantità di escrementi eccessiva, tale che non possono più trattenere. Non potendo uscire, a causa del freddo, sono costrette ad evacuare all’interno. Questo fenomeno produce un disagio più o meno grave. I primi segni sono macchioline color caffè, del diametro di circa mezzo cm., sparse sui portafavi e, sull’interno delle pareti. Si capisce che le api costrette ad evacuare sono state poche, la visita le induce a compiere il volo di purificazione e questo le salva da ogni pericolo. In altri casi, più gravi, le api di due-tre favi, colpite dalla diarrea sono cadute morte sul fondo, mentre la maggior parte sono ‘ancora vive. In questo caso è opportuno riunire le api rimaste ad altro alveare, come detto sopra. Il salvataggio d’una famiglia ridotta male dà risultati di poco valore.

Le api rimaste formerebbero una famiglia debole numericamente, che avendo sofferto per lo strapazzo subito non darebbe mai un alveare da produzione. Si può riunire a qualunque famiglia, senza alcun pericolo perché la diarrea è un disagio che può avere conseguenze mortali, ma non è una malattia.

La diarrea può essere causata da scorte di cattiva qualità, come alcuni tipi di manna, dal trasporto di alveari nel periodo freddo, da nutrizione liquida fatta inopportunamente e più spesso da clausura prolungata. Già nel parlare dell’invernamento, ho suggerito di stimolare le famiglie deboli ad uscire per il volo di purificazione quando si vedono quelle forti già in volo.

Quando le api volando si purificano spruzzano gli escrementi nei dintorni macchiando tettoie, predellini, pareti esterne degli alveari, le biancherie distese ad asciugare, le macchine posteggiate nelle vicinanze! E qui devo proprio «uscire dal seminato» per consigliare a tutti voi, amici apicoltori, di usare molta prudenza e discrezione per non suscitare le giuste recriminazioni dei vicini. Teneteveli buoni con le parole e con qualche vaso di miele; consigliate di coprire le macchine; di non stendere la biancheria nel primo giorno di volo, dopo un periodo di clausura. Voi stessi non andate in apiario con vestiti da festa. Può essere utile un altro consiglio: osservate la: direzione di volo delle vostre bottinatrici.

Se vi è possibile, fate che sulla linea che sorvolano non sostino macchine, persone o cose delicate, perché qualche macchiolina caffè potrebbe facilmente cadere con disappunto di chi la dovesse ricevere. Se sapremo evitare anche questi piccoli dispiaceri, potremo entusiasmarci per  la luce che invita le nostre api a fare festa, potremo dimostrare anche in quest’occasione il nostro amore per gli uomini e per le cose buone. Come avete capito, una occhiata per vedere la forza dell’alveare e la presenza di scorte sufficienti, si può dare in pochi minuti e per questa visita è sufficiente.

Alla fine rimettiamo tutto a posto come se, l’inverno incominciasse domani.
Infatti, le belle giornate di febbraio talvolta sembra che abbiano portato la primavera, ma non dobbiamo lasciarci ingannare; la neve può cadere anche in marzo e la temperatura può ridiventare rigida per settimane. Quando in questa visita scopriamo un alveare che ha subito un forte spopolamento dobbiamo esaminarne la causa. Può darsi che si tratti di alveare invernato con api vecchie, morte naturalmente da novembre a febbraio. In questo caso si rimedia riunendo o rinforzando; può anche trattarsi di nosemiasi o acariosi. Nel dubbio per essere più tranquilli, è meglio raccogliere campioni di 30 – 40 api e portarle all’Istituto Zooprofilattico.

Possiamo trovare anche alveari visitati dai topi. Il legno fradicio delle porticine può essere facilmente rosicato dai topi, i quali, ammucchiando in un angolo foglie e rosicature di carta, vi depongono i piccoli e li allevano, avendo abbondante nutrimento nel miele e nel polline dei favi laterali. In certi casi scavano gallerie da un favo all’altro recando gravi danni. Le api raccolte in glomere, non si allontanano perché intirizzite, e i topi vi rimangono finché la temperatura fa sciogliere il glomere. La nostra visita li può snidare. Faccio notare che l’entrata dei topi può essere un foro nel legno lasciato da nodi morti o sconnessure delle tavole. Le griglie in ferro vengono usate per proteggere le porticine. In ogni caso, l’altezza dell’entrata non deve superare i 9 millimetri. Qualche alveare ha, molte api morte sul fondo: dobbiamo aiutarlo a fare la pulizia alzando il nido e spazzolando il fondo, quando è mobile, oppure pulirlo con un’asta a rastrello. Altrimenti le api morte vengono coperte da opercoli e altri cascami dove troveranno facile rifugio le tarme.

Finita questa «prima visita» aspettiamo che ogni volo sia cessato, e poi avviciniamoci all’entrata e ascoltiamo: il ronzio interno dev’essere uguale in tutti. Qualche differenza può esserci in quelli che hanno subito le varie manipolazioni, mentre gli altri dovrebbero avere un ronzio proporzionato alla forza d’ogni alveare.

Abramo Andreatta

Info Redazione

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