lunedì , 9 Settembre 2024
Modello 4, registrazione automatica dell’apiario

Perfetto come… un favo

La parte costruttiva fondamentale dell’arnia è rappresentata dal favo. Le api, in condizioni naturali, costruiscono fino a otto favi.

Tale numero sarebbe particolarmente adatto alla vita di un normale nucleo derivante da uno sciame. Sempre nella ipotesi di sviluppo in condizioni naturali, il favo viene costruito partendo da una iniziale base di attacco che poi viene fatta crescere a forma di lingua in tutte le direzioni: larghezza, lunghezza e spessore.

Il materiale da costruzione è costituito dalla cera, una sostanza molto complessa nella cui composizione entrano in combinazione diversi componenti chimici, tra i quali acidi grassi a lunga catena molecolare, alcoli, carboidrati, ed altri costituenti. Sono stati individuati fino a trecento costituenti, di cui solo quattro però sono in quantità superiori al 5% sul totale: carboidrati, esteri semplici e complessi ed acidi grassi. Le api producono la cera secernendola da apposite ghiandole disposte in serie metamerica ai lati dell’addome.

La lavorazione della cera secreta e la sua modellazione per la costruzione del favo avviene all’interno del glomere ed a temperatura di 35 gradi centigradi.

Il favo è costruito in modo da consentire un ottimale sfruttamento dello spazio ed un’economica utilizzazione del materiale da costruzione.

Il modulo costruttivo di base è la cella.

Le celle del favo sono così assemblate l’una con l’altra in modo da costituire ognuna contemporaneamente parete e pavimento delle altre cellette. La forma e posizione di ogni fondo di cella consente un ottimale collocamento di ogni larva rispetto a quella della cella opposta ed ognuna delle pareti di una cella costituisce una delle pareti delle celle adiacenti. Questa soluzione è consentita dalla strutturazione a forma esagonale delle pareti e dalla forma a piramide triangolare del fondo della cella. di norma gli esagoni sono disposti in piedi e l’asse della cella ha una inclinazione di circa 20 gradi verso l’alto del favo, in modo da favorire la contenzione della larva, del miele e del polline.

Questa struttura consente una straordinaria solidità, anche se il materiale è molto leggero, notevole è anche la capacità di carico: un favo da melario, formato da ottanta-cento grammi di cera, può sopportare un peso fino a circa due kg di miele.

Tutto questo con pareti estremamente leggere e fragili: lo spessore delle pareti oscilla infatti intorno ai 0,1 millimetro, il bordo esterno però è rinforzato a forma di orlo per dare maggiore solidità alla struttura.

Lo schema fondamentale delle celle del favo può essere ricondotto a tre tipi e grandezze, le celle destinate all’allevamento delle api operaie ed a immagazzinare le riserve di polline e di miele; come è noto la zona centrale del favo da nido accoglie la covata, mentre i margini servono per immagazzinare le scorte.

Poi ci sono le celle per l’allevamento dei fuchi, che talvolta possono anche servire per immagazzinare il miele; esse sono più grandi delle precedenti e vengono di norma ricavate ai margini dei favi, o, se non c’è altro posto vengono costruite allargando le celle delle api operaie particolarmente dove il favo presenta dei cedimenti.

Le celle reali, del tutto diverse dalle prime due, modellate a forma di ditale e posizionate sotto o lateralmente alla zona delle celle normali, non costituiscono parte strutturale del favo. Le loro pareti sono di spessore maggiore delle altre e vengono utilizzate una sola volta per l’allevamento di una regina, dopo di che vengono di norna demolite. Anche le celle dei fuchi possono venir demolite, però dopo un certo numero di utilizzazioni, invece le celle normali non vengono mai smontate. Le celle normali, da nuove, hanno un diametro di 5,3 millimetri, una profondità di 10-12 millimetri e lo spessore totale del favo risulta di 21- 25 millimetri; le celle del miele possono venire allungate fino a 20-25 millimetri. Le celle dei fuchi hanno un diametro di 6,9 millimetri, una profondità di 16, e conferiscono al favo uno spessore di 30-32 millimetri.

Su di un decimetro quadrato di favo si trovano intorno a 400 celle per parte e quando sono nuove hanno un colore chiaro quasi trasparente. Con l’avvicendarsi delle covate, le celle divengono sempre più strette e più scure: ogni ape che nasce lascia sulle pareti della cella una sottile cuticola e sul fondo rimangono piccole quantità delle feci della larva. Ad ogni generazione diminuisce quindi il volume della cella. Per ovviare a tale inconveniente che nuoce allo sviluppo larvale, le api allungano gradualmente la cella rendendo il favo più pesante e spesso. E’ importante a tale proposito ricordare che, come conseguenza ne deriva anche che dai favi vecchi nascono api più piccole: si è calcolato che il peso di api nate da un favo nuovo è di circa 125 milligrammi, se nate invece da favo che ha più volte ospitato covata, il peso medio della nuova ape scende fino a meno di 110 milligrammi.

Da questa osservazione è facile dedurre la grande importanza della regolare sostituzione dei favi vecchi con nuovi fogli cerei. Un favo non dovrebbe rimanere nel nido per più di tre anni, cioè se ne devono sostituire in media un trenta per cento all’anno. Il ricambio dei favi è importante anche allo scopo, della prevenzione delle malattie, i cui germi trovano terreno propizio nei residui lasciati dalle varie generazioni di larve.

Il favo rappresenta quindi un elemento importante tanto per lo sviluppo dell’ape, come per prevenirne le malattie. Nelle condizioni di sviluppo allo stato selvatico, la colonia delle api si rinnova sciamando circa ogni tre anni, in questo modo ogni nucleo rinnova totalmente anche i favi che rappresentano la casa e l’officina di attività del nucleo stesso.

L’istinto, basato su informazione genetica, condiziona ogni generazione a ripetere consueti comportamenti costruttivi. Con modeste eccezioni, ogni cella del favo viene sempre costruita nello stesso modo e così ne risulta un favo sempre uguale. L’apicoltore non può modificare questo destino, deve accettarlo come il migliore possibile e sfruttarne, con prudenza, i frutti.

Tarcisio Corradini

honeystickers

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Un commento

  1. Grazie Tarcisio Corradini. Chiarissimo e ben esposto. Molto interessante.

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