martedì , 28 Novembre 2023
Ecco il primo vaccino per le api: scopriamo come agiscele api e le vespe

Favi nuovi, api sane

Quando la cera serviva all’uomo per produrre luce, per la scultura, per la pittura, per coprire le tavolette degli scolari, per comporre medicine, per l’ebanisteria, nelle arti magiche, nelle pratiche religiose, era molto più apprezzata di oggi. In questi tempi d’oro per la chimica, la paraffina, le cere vegetali e minerali, e altre sostanze meno costose hanno ridotto l’uso della cera alla costruzione del foglio cereo, a pochi lavori d’ebanisteria, tuttora molta viene usata nella cosmesi e pochissima nella medicina. Anche in apicoltura sono stati fatti esperimenti per sostituire il foglio di cera d’api, con laminati vari, ma le api hanno respinto ogni surrogato e preferito le costruzioni fatte con la cera naturale di loro produzione.

In Italia la maggior parte della cera vergine viene trasformata in fogli cerei. Così la trasformazione della cera ottenuta dagli opercoli e dalla fusione di favi vecchi, riporta nell’alveare la cera prodotta qualche anno prima. Questo lavoro di riutilizzazione della cera che il progresso ci ha suggerito ci propone alcuni quesiti che solo una tecnica razionale può risolvere nel modo migliore oggi possibile. Uno dei problemi è dato dalla grandezza delle celle stampate sui fogli cerei. In passato vi furono lunghe discussioni tra i fautori delle celle grandi e quelli delle celle piccole. I primi, con il grande maestro Don Angeleri in testa, sostenevano che le celle grandi potevano generare api con lingua più lunga, borsetta melaria più grande, più forti per strappare il propoli dalle gemme, ecc. I secondi affermavano che api più piccole sarebbero state più numerose e quindi più abbondante il prodotto. Alla fine prevalse giustamente un criterio dedotto da considerazioni scientifiche: fra le varie razze di api esistenti in Italia ve ne sono di varie grandezze.

Ne ricordo 3: le poche api nordiche allo stato naturale costruiscono 410 celle per dm2 su ogni faccia del favo: le api ligustiche costruiscono 390 celle per dm2 e vari incroci fra ligustica e carnica costruiscono 370 celle per dm2. E’ quindi necessario fornire alle api fogli cerei che abbiano le celle grandi come quelle costruite in ciascun ambiente, allo stato naturale.

Un metodo semplice per fare il controllo consiste nel confrontare il numero di celle contenute in un decimetro di lunghezza. Il foglio cereo deve avere un numero di celle uguale a quello del favo naturale. Se la differenza in meno tra le dimensioni della cella stampata nel foglio e quelle delle celle naturali è notevole, le api talvolta reagiscono abbandonando la traccia del foglio e costruendo liberamente celle corrispondenti alla loro natura.

Ho visto tale reazione in un alveare che naturalmente costruiva 370 celle per dm2, al quale era stato consegnato un foglio cereo con 410 celle per dm2. Le api hanno trascurato i rilievi delle celle del foglio ed hanno costruito il favo liberamente con 370 celle per dm2. Io invito gli apicoltori a controllare scrupolosamente le celle dei fogli cerei e confrontarle con quelle naturali per non costringere le api a usare celle al limite della tolleranza. Anzi consiglio l’uso di celle leggermente più grandi.

Misurando i favi naturali di molte famiglie ho notato sensibili differenze dovute al momento in cui furono costruiti: i favi di forti sciami, costruiti in periodo di abbondante importazione contengono celle più grandi di quelli costruiti da sciami usciti in periodo di magra. Questi le fabbricano più piccole, nel limite di 10 – 15 per dm2.

I momenti nei quali producono più facilmente cera sono quelli della sciamatura e quelli della grande importazione. In ogni caso occorre abbondante nutrizione come vedremo più avanti. E vediamo anzitutto a quale uso sono destinate le costruzioni delle api. Osserviamo uno sciame appena sistemato: le api si aggrappano ai portafavi e ai fogli armati in essi inquadrati. Dopo poche ore appaiono le celle esagonali, bianche sottilissime. La regina si avvicina alle api ceraiole quando non hanno ancora completato le celle, vista accuratamente ogni cella, poi vi depone con sollecitudine un uovo compiendo cerchi concentrici, passando da una faccia all’altra dei favi. Per ventun giorni la regina depone continuamente in celle femminili, e le api ceraiole in tale periodo riescono a costruire favi in proporzione della loro forza numerica e dell’abbondanza dell’importazione.

Anche se lavorassero senza la traccia dei fogli cerei, costruirebbero celle femminili durante tutto il periodo della metamorfosi del primo ciclo di deposizione, cioè per ventun giorni. Dopo tale periodo nascono le prime api della nuova famiglia, e allora la regina non segue più le api costruttrici, ritorna alle celle lasciate libere dalla nascita delle prime api, le trova pulite, verniciate di propoli, pronte a ricevere un secondo uovo. Le costruttrici, notando il comportamento della regina sembra che pensino: «Abbiamo costruito celle da operaia in numero sufficiente per la nostra regina, è tempo di costruire celle grandi che servono come deposito per il miele e per l’allevamento dei fuchi».

Se hanno una regina giovane efficiente, e sono fornite di fogli cerei a celle femminili, per il momento continuano a costruire favi seguendo le tracce a celle femminili dei fogli cerei, ma se hanno una regina vecchia che prevedono di dover cambiare, cercano il posto per costruire celle per i fuchi che dovranno fecondare la futura regina. Se non c’è altro spazio, costruiscono le celle maschili sulle tracce di quelle femminili, trascurando i rilievi dei fogli cerei.

E’ un caso abbastanza frequente nell’apiario dove il cambio della regina è lasciato all’istinto delle api: un mese circa dopo la sciamatura cambiano la regina che ha seguito lo sciame. In questo caso costruiscono solo due celle reali; la prima delle due regine eliminerà la sorella, farà il volo di fecondazione e poi deporrà insieme alla madre in favi separati per un periodo di uno – due mesi; “poi la vecchia regina scomparirà, non si sa bene come. Nell’ultimo periodo di vita la regina ha un comportamento assai differente del solito.

Mentre la regina feconda, giovane, si trova sempre sui favi di covata circondata da una corte di nutrici, la vecchia sembra disorientata, cammina sui portafavi, sulle pareti, sul fondo, esce perfino sull’esterno dell’arnia;  ha perduto l’istinto di visitare le celle vuote, proprio della depositatrice.

Favi nuovi, api saneRiprendo il discorso sulle celle delle operaie, notando che le loro pareti lentamente s’ingrossano perché ogni metamorfosi d’operaia vi lascia un bozzolo e il vuoto rimasto alle operaie che vi si devono sviluppare si restringe fino a causare la degenerazione ben visibile nella grandezza ridotta delle api nate in favi vecchi. I resti costituiti da bozzoli e residui d’escrementi, sono visibili specialmente sui fondi delle celle che formano la parete divisoria dei favi.

I favi vecchi, pur essendo vuoti, pesano come se contenessero miele.

La differenza di peso tra un favo nuovo e uno vecchio è costituita da bozzoli e residui d’escrementi. Da ciò si capisce che un simile materiale porta diversi danni:
1) Anzitutto la diminuzione del volume delle celle già rilevata con la conseguente degenerazione della grandezza delle api.
2) La perdita di calore che invece di comunicare tra le larve si disperde nelle pareti e specialmente nei fondi.
3) I residui degli escrementi, spesso permeati d’umidità, possono diventare causa di nosemiasi, micosi di vari tipi e raffreddamento della covata.
Un esperto apicoltore di Preore (TN), Paolo Paletti, avendo dovuto lottare per molti anni contro la nosemiasi, ha finalmente notato che tale malattia si sviluppava più facilmente in alveari con favi vecchi. Egli ha reagito facendo rinnovare spesso i favi del nido e così si è liberato della nosemiasi ed ha indicato anche agli altri apicoltori il metodo di lotta più efficace.
Naturalmente in questo caso la difficoltà maggiore è quella di mettere le api nelle migliori condizioni per costruire favi nuovi. Come ho accennato sopra, le api producono naturalmente cera quando c’è abbondanza d’importazione, ma specialmente in occasione della sciamatura.

Gli alveari scelti per la sciamatura devono avere regine di 2 o 3 anni, essere i migliori per mitezza, laboriosità, forza di popolazione e resistenza alle malattie. Devono essere seguiti con premura, perché le condizioni in cui la sciamatura si svilupperà siano favorite. Esse sono:

1) Nutrizione abbondante. Anche se l’importazione naturale è buona, è opportuno aggiungere la nutrizione artificiale con sciroppo di acqua e zucchero in parti uguali. L’abbondanza di nutrizione produce due effetti benefici: anzitutto garantisce la produzione di pappa reale che darà ottime regine; poi manterrà l’estro sciamatorio che talvolta viene meno a causa di mutamenti del tempo, frequenti d’estate in montagna.
2) Perché le api siano indotte a sciamare più facilmente è necessario che la regina abbia 2 o 3 anni. E’ difficile far sciamare la regina d’un anno.
3) L’abbondanza di popolazione crea ingombro, calore e disagio, condizioni favorevoli alla sciamatura. Seguendo lo sviluppo dell’alveare destinato alla sciamatura, quando l’allevamento delle nuove regine è al punto che mancano uno, due giorni alla nascita è necessario sorvegliarlo sulle ore calde, dalle 9 alle 13 dopo aver allestito un’arnia con fogli cerei, bene armati. Raccolto lo sciame e inarniato si attende finché è completamente calmo, quindi si sposta di 7 – 8 m il ceppo dal quale è uscito e al suo posto si mette lo sciame. I due alveari in serata non compiono movimenti importanti, ma invece all’indomani le bottinatrici del ceppo che andranno al lavoro, al ritorno non conoscendo la nuova sede, andranno al vecchio posto ad unirsi allo sciame. In questo, arricchito delle bottinatrici del ceppo, si avrà una popolazione così forte che, con tempo normale in dieci giorni costruirà completamente il nido. Per indurre le api a costruire più favi si può levare quelli semicostruiti prima che siano occupati dalla covata, sostituirli con fogli cerei e quindi cambiare i favi vecchi d’un altro alveare contenenti solo miele.

Questi potremo farli vuotare mettendoli oltre il diaframma dopo averli disopercolati con una forchetta. Naturalmente con questo metodo avremo molti favi e poco miele. Infatti si calcola che per produrre un kg di cera le api usino pressapoco 10 kg di miele. Non converrebbe certamente nutrire perché producano cera per vendere al mercato; ma invece è necessario e quindi ‘conveniente, far costruire i favi per la salute e la prosperità degli alveari.

La cera estratta dall’apicoltore è di tre tipi: la migliore è quella proveniente dagli opercoli, se ne ricava 1 kg per ogni quintale di miele; poi viene quella estratta dai favi, o pezzi di favo, che non furono usati per la covata; finalmente quella estratta dai favi vecchi già usati per la covata.

La cera proveniente dagli opercoli è di colore chiaro, emana un aroma molto gradevole, viene accettata e lavorata più facilmente dalle api. La seconda qualità è pure buona, anche se non aromatica come la prima. La terza qualità è sempre di colore più scuro e meno aromatica.

Nei favi che ci hanno dato questa cera possono trovarsi spore, funghi e altri germi di malattie varie. Per questo è necessario sterilizzare in autoclave a temperatura superiore ai 120° la cera destinata ad essere riutilizzata per la costruzione di fogli cerei. Infatti è stato scientificamente accertato che l’agente patogeno della peste americana, il bacillus larve, resiste fino ai 120° C.

Da qui un suggerimento importante: chi vi fornisce i fogli cerei deve garantirvi che siano stati sterilizzati come detto sopra. Il modo di conservare i favi vecchi e gli opercoli destinati alla rifusione ha una certa importanza e perciò ritengo utile dare qualche consiglio.

Gli opercoli si conservano a lungo, tanto intrisi di miele come ridotti in palle dopo averli lavati in acqua calda e quindi spremuti a mano. Invece i favi, specialmente quelli già usati per la covata vanno soggetti a deterioramento per invasione di tarme o per ammuffimento. Per evitare i possibili danni alle cere sciolte è consigliabile la trasformazione dei favi in pani di cera. I metodi più semplici alta portata di qualunque modesto apicoltore sono due:
1) la bollitura in acqua dei favi, con la pulitura dei pani ottenuti dopo il raffreddamento.
2) L’uso della sceratrice descritta in tutti i manuali d’apicoltura.

La cera in pani non teme alterazioni né per tarme, né per umidità. Per questo consiglio di non lasciare favi vecchi a disposizione delle tarme. In altro momento ho pure spiegato che i favi nuovi e vecchi si possono conservare in magazzino usando la zolforazione dei melari che li contengono. Parlando delle basi necessarie per una buona apicoltura ripeto sempre che le colonne che la sostengono sono tre:
1) regine giovani
2) favi nuovi
3) nutrizione conveniente.

Con questo scritto mi auguro di avere incoraggiato la pratica di rinnovare i favi. La primavera non è lontana.

Abramo Andreatta

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