La siccità e il caldo estremo stanno uccidendo le api. L’entomologo e apicoltore Paolo Fontana intervistato da Fanpage.it spiega cosa sta accadendo.
L’Italia è investita da settimane da una significativa ondata di caldo estremo, che si accompagna a una prolungata e altrettanto drammatica siccità. Tutti abbiamo in mente le immagini del Po in secca, dal quale stanno riemergendo mezzi militari affondati durante la Seconda Guerra Mondiale e i resti di animali preistorici. È una condizione eccezionale catalizzata dai cambiamenti climatici, che sta avendo un impatto drammatico sugli ecosistemi e sull’agricoltura. Tra gli animali più colpiti da questi fenomeni vi sono le api, imenotteri impollinatori che giocano un ruolo cruciale nel mantenere gli equilibri ecologici ma anche le colture di interesse commerciale, oltre che naturalmente la produzione del miele. Per comprendere meglio cosa sta accadendo a questi straordinari insetti abbiamo contattato il dottor Paolo Fontana, entomologo esperto di apidologia presso la Fondazione Edmund Mach (Trento) e appassionato apicoltore da molti anni. Ecco cosa ci ha raccontato.
Dottor Fontana, la grave siccità che sta colpendo l’Italia – e in particolar modo le regioni del Nord – starebbe provocando una moria di api, a causa della minore disponibilità di nettare dalle piante, assetate dalla mancanza di acqua. In pratica, le api starebbero “morendo di fame”. Cosa può dirci al riguardo?
La situazione è parecchio critica. La siccità crea diversi problemi alle api. In primo luogo fa finire il flusso di nettare e polline dai fiori e quindi le api non immagazzinano più cibo. Questa però è una cosa abbastanza normale a luglio. A luglio le api vanno in sofferenza, diciamo, perché in Nord Italia nelle zone di pianura e di colline di fiori ce ne sono molto pochi. Bisogna in genere aspettare fine agosto – settembre per la fioritura dell’edera e di altre fioriture, anche se di piante aliene come il topinambur, l’impatiens, la solidago o verga d’oro che dir si voglia. Ma le alte temperature aumentano questo problema. Perché le api hanno bisogno di mantenere il loro nido a una determinata temperatura. Quindi le api devono raccogliere acqua e questo con la siccità diventa difficile, devono rinfrescare – spruzzare acqua nel loro nido e ventilare, quindi consumare cibo. Già il flusso di cibo non c’è, poi loro devono volare avanti e indietro per raccogliere acqua, ventilare sbattendo le ali. Questo è molto impegnativo per le api. Noi però dobbiamo tener presente che le api degli apicoltori vengono soccorse dai loro – diciamo così – tutori, custodi. Perché alle api l’apicoltore toglie il miele prodotto in primavera e all’inizio dell’estate. Se l’apicoltore non togliesse questo cibo, le api probabilmente ne avrebbero a sufficienza, per sopravvivere. Non sempre, ovviamente. L’apicoltore fa un patto con le proprie api: porta via del miele perché molto probabilmente non arrecherà loro nessun problema, ma sa che se il clima andrà male deve ripagare le proprie api – socie di maggioranza – di quello che ha prelevato.
E come le ripaga?
Dà loro nutrimenti zuccherini, acqua e zucchero, sciroppi eccetera. Le ripara dall’eccessivo calore, magari mettendo sopra l’arnia dell’isolante termico, mette a disposizione delle proprie api degli abbeveratoi. Questo è quello che un bravo e accorto apicoltore fa. Poi ci sono degli apicoltori, pochi per fortuna, che una volta che le api sono andate in produzione, che si è raccolto il miele, si distraggono. Vanno in vacanza e pensano che le loro api si arrangino in tutto e per tutto. E invece se si decide di prendere delle api bisogna essere presenti e accudirle. Ma la situazione è drammatica per tutta la biodiversità. Ieri ero in zona pedemontana, con 40° C, boschi completamente secchi, addirittura l’edera seccata sulle piante dal calore. Queste temperature elevate, prolungate e l’assenza di pioggia credo stiano provocando dei danni che non sono solo temporanei alla vegetazione, ma anche qualcosa di molto più serio. Non credo si possano fare previsioni, ma c’è chi dice che questa sarà l’estate più fresca dei prossimi 30 anni. Non sappiamo cosa aspettarci, un bosco non cresce dall’oggi al domani. Il modo di allevare le api, prelevare meno miele, essere più cauti lo possiamo cambiare, però tutti gli altri organismi che basano la loro esistenza sui fiori, sui boschi, non so come possano cavarsela. Ieri sera tornando a casa dal Trentino in Veneto mi hanno attraversato la strada due caprioli che io ho visto magrissimi. Mi ha fatto impressione. Dopo boschi secchi, prati polverizzati – non si parla neanche più di erba secca, proprio di polvere -, e poi nella notte vedere questi due caprioli con le costole in evidenza mi ha davvero impressionato.
Un problema ulteriormente acuito anche dagli incendi
Sì. Parlavo proprio ieri con un amico e mi diceva che c’è stato un incendio nel terreno del suo vicino, con diversi alveari andati a fuoco. Credo sia un problema molto serio. Gli apicoltori sono una categoria in gran parte di appassionati, ma anche una categoria produttiva che, come tutte quelle del mondo dell’agricoltura, della pesca eccetera, che basano il loro reddito su eventi naturali, sono in grossissima crisi. E non è che ci sia un grande intenzione di dar loro una mano.
L’anno scorso si sono toccati cali nella produzione del miele anche del 95% – ad esempio in Toscana – a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici
Sì, sì. Siccome il miele lo fanno i fiori, fra tante aziende c’è chi ha prodotto qualcosa l’anno scorso. Quest’anno c’è chi ha fatto delle buone produzioni nella prima parte dell’anno, però sempre in quantità scarse rispetto a delle stagioni anche solo di 6 o 7 anni fa. Ormai ci accontentiamo delle briciole. Questa dieci anni fa sarebbe stata una pessima annata. Oggi arriviamo a dire che è buona, rispetto alle ultime 3 – 4. Però per come si sta concludendo, si stanno vanificando i risultati positivi della prima parte. Ovviamente adesso per accudire le api, per nutrirle, per seguirle, per proteggerle ci vogliono tempo, risorse, ore lavoro, spostamenti, costi carburante. Non è una barzelletta. Poco fa ho ricevuto un meme da una mia amica che dice “l’apicoltura è adatta per chi ha tanta voglia di lavorare e poca voglia di far soldi”.
Secondo il calcolo di un’azienda che produce dispositivi di monitoraggio delle api, 3Bee, gli alveari starebbero perdendo 400 grammi al giorno a causa della siccità e dei cambiamenti climatici. Cosa significa e quali potrebbero essere le conseguenze
3Bee produce delle bilance elettroniche che conosco bene e anche io in azienda uso bilance elettroniche. . Per dire che c’è un calo generalizzato di 400 grammi al giorno bisognerebbe però avere una rete di monitoraggio di un certo tipo. Comunque non è un dato sorprendente perché la perdita di peso può derivare anche da fattori diversi. Per l’eccessiva siccità gli alveari stanno interrompendo il loro naturale sviluppo, cioè le regine smettono di deporre uova e quindi non si allevano più larve. Quindi man mano che le api degli ultimi cicli di covata diventano adulte, la colonia si alleggerisce, dato che le larve pesano di più delle api adulte e una tale interruzione provoca una riduzione della popolazione. In un alveare ci sono alcuni kg di api. Poi naturalmente se queste colonie hanno fame, mangiano e consumano. Una colonia in un anno può mangiare più di un quintale di miele. L’apicoltore ne preleva 20 – 30, se va bene. È la covata che consuma molto. Quindi questa perdita di peso può essere di assestamento. Ma se la situazione continua in questa direzione può portare alla morte molti alveari.
400 grammi al giorno sembrano veramente tanti
Sì. Io non ho visto la notizia perché non seguo più di tanto aziende di tipo commerciale, non sono istituzioni scientifiche. Probabilmente hanno loro delle pesate in alcune zone in cui questo avviene. Possono esserci delle zone in cui il calo è ancora maggiore. Però le api a un certo punto entrano in una sorta di inattività. Riducono le attività e riducono anche i consumi. Ovviamente gli apicoltori in genere non collocano gli alveari in zone ombreggiate perché le api possono soffrire di patologie in tali situazioni e le mettono molto basse a terra per favorire il proprio lavoro. Purtroppo in situazioni anomale, con temperature di 40° C o superiori, dove non c’è niente da mangiare, dove c’è difficoltà a trovare acqua, una colonia esposta al sole dentro ad arnie con un tetto di lamiera, si possono trovare in difficoltà. si mette a consumare tutto quello che ha finché non muore di fame. Se fosse vero che una colonia sta andando in passivo di 400 grammi al giorno, vuol dire che in 10 giorni perderebbe 4 chili. Una colonia normale dentro ha almeno 4 o 5 chilogrammi di miele. Ma se questa situazione va avanti per 15 giorni, per 20 giorni, si capisce bene che è insostenibile. Se registriamo questi dati sulle api, immaginiamo cosa sta succedendo agli altri apoidei, cioè ai bombi, alle api solitarie e alle altre specie. È vero che la maggior parte degli apodie è composta da api solitarie, che quindi non hanno grossi costi. In base alle disponibilità di cibo allevano più o meno figli che nasceranno l’anno dopo. Però la situazione è veramente molto preoccupante. Preoccupante soprattutto per noi. Perché la natura si riprende sempre e comunque. L’incendio, l’alluvione, sono fenomeni che la natura conosce bene. Siamo noi che creiamo tutti questi disastri alla natura, che crediamo di poter vivere senza la natura, ma non ce la facciamo. Perdiamo ancora verde, boschi, impollinatori. Rischiamo grosso, noi in prima persona.
E con questa siccità va sempre peggio
Per me, che vengo da una famiglia contadina, vedere campi in grossissima difficoltà, irrigati con scarsissimi risultati o senza irrigazione, resto senza parole. Le piogge annunciate sono solo piccoli acquazzoni che bagnano appena la terra. Ci vorrebbe almeno una settimana di piogge, ma è già tardi. C’è addirittura il rischio che venga giù un temporale con grandine che fa ancora più danni. Il nostro sistema di gestire il territorio, l’agricoltura, non è così intelligente secondo me. Perché è da quando io ero ragazzino – ho 57 anni – che sento parlare di cambiamento climatico, di riscaldamento globale. E non si è fatto niente per potenziare le risorse idriche, per difendere gli ambienti. Parliamo anche semplicemente dell’uso generalizzato e diffuso del diserbo. Il diserbo viene fatto in agricoltura per ridurre l’assorbimento delle malerbe nei confronti della produttività delle piante coltivate, ma lasciare il terreno nudo ha i suoi svantaggi. Un terreno che non trattiene l’umidità della notte, un terreno che riceve appieno i raggi del sole e quindi viene polverizzato non può essere un terreno sano e vitale. Questa idea di trasformare il mondo in una coltura idroponica dove tutti gli input li diamo noi, acqua, concimi, pesticidi, eccetera, non è che stia dando ultimamente, secondo me, segno di essere il modo più efficiente di gestire l’ambiente. Si dicono tutti preoccupati, però poi alla fine se ne fregano. Come dico sempre, siamo come quelli sul Titanic che ballavano il valzer dopo la collisione con l’iceberg.
Tornando alle api, un’ondata di calore estrema che ha colpito Stati Uniti e Canada ha provocato una moria di fuchi, che si sono presentati agli occhi dei ricercatori e degli apicoltori come fossero “esplosi”, con l’espulsione dell’endofallo in risposta allo stress da calore. Le risultano casi simili anche in Italia durante l’attuale o le passate ondate di calore?
Relativamente ai fuchi io personalmente non ho assistito a questo specifico fenomeno. Ne ho parlato anche con colleghi ricercatori, ma di fuchi con l’endofallo espulso non ne abbiamo trovati. Però in alcune aree d’Italia c’è stato l’allontanamento dei fuchi dalle colonie in maniera anticipata. Cosa che era avvenuta anche l’anno scorso. Io ho delle api in Maremma e lo scorso anno, da metà luglio, nella zona tra Follonica e Massa Marittima, ma ho sentito anche in altre parti, non c’era più un fuco neanche a pagarlo. Tanto che avevamo preparato delle nuove colonie dove dovevano fecondarsi le regine, ma non ne è rimasta fecondata nemmeno una. Perché i fuchi sono molto importanti nelle colonie di api, anche se spesso vengono descritti come degli individui pigri, oziosi, inutili. Nella fase primaverile hanno anche una grande rilevanza nel riscaldamento della colonia, quando il clima può essere ballerino. Poi ci sono le sciamature, le nuove regine, la diffusione dei caratteri genetici. Quando la colonia è in difficoltà però, quando è affamata, i primi a partire sono loro. La colonia smette di allevare fuchi e a un certo punto li buttano anche fuori dall’alveare. Questo è noto fin dall’antichità. Quest’anno io direttamente ho visto casi di fuchi allontanati in gran numero anzitempo dalle colonie. L’ho visto in Francia dieci giorni fa. L’ho visto in diverse parti d’Italia già a fine maggio.
Ma senza assistere a questo curioso e terrificante fenomeno di cui parlano i suoi colleghi americani
Di fuchi trovati morti con l’endofallo esploso, diciamo così, no. Ma non credo sia nulla di straordinario. Può succedere. Da quello che ho letto non ho visto dei dati così significativi. Certo, sì, mi sembravano delle osservazioni importanti e interessanti. Ma anche l’esclusione dalle colonie dei fuchi è un sintomo di condizione climatica non più favorevole. Io mi ricordo di quattro anni fa, in Maremma, ci fu una primavera molto molto piovosa, durante il culmine della popolazione di fuchi li trovai tutti morti nei fondi delle arnie. Solo fuchi. A centinaia, migliaia. Avendo le arnie a favo naturale le mie colonie ne allevano tanti. È successo perché c’era stata una carenza di cibo mostruosa. E le api li hanno eliminati tutti, semplicemente, non dando loro più da mangiare.
Come mai i fuchi sono più sensibili e colpiti delle api femmine da questi fenomeni?
Se si riferisce alle morie di fuchi negli USA, posso solo ipotizzare che questi siano stati uccisi da rapide ondate di calore mentre erano intenti a volare ad alcune decine di metri da terra, nelle cosiddette arene di fecondazioni o aggregazioni di fuchi. I fuchi le formano, riunendosi a migliaia, nelle ore più calde del giorno. Loro se ne stanno fiori per alcune ore volando in alto mentre le operaie fanno avanti e indietro dall’alveare ai fiori o l’acqua per poi tornare all’alveare. Ma la mia è solo una supposizione.
Si potrebbe dire che i maschi subiscono gli effetti del calore eccessivo perché il loro lavoro è riunirsi dalla metà-fine mattinata fino al primo pomeriggio in determinate arene di volo e stazionano ad alcune decine di metri da terra, volando in formazione, diciamo così, a nuvoletta. Quindi stanno lì un bel po’. Hanno dei muscoli potentissimi con cui già si scaldano per conto proprio. Probabilmente dovendo stare così esposti l’effetto del calore su di essi è maggiore. Anche questo fa parte della selezione naturale. Quelli che ce la fanno e poi fecondano le regine sono quelli di sana e robusta costituzione. Poi bisogna sempre un po’ rifuggire da queste notizie che un po’ “ammiccano”. Se gli si fossero spezzate le ali avrebbe fatto meno presa. Oggi anche in chi scrive articoli di divulgazione scientifica c’è un po’ la malizia di fare dei titoli che attirino molto l’attenzione. Voi lo sapete bene, è il vostro lavoro. I ricercatori dovrebbero fare dell’altro. Le notizie escono già “gonfiate” dal mondo scientifico. Va però tenuto presente che negli Stati Uniti ci sono dei fenomeni meteorologici che noi facciamo fatica a comprendere e spero non comprenderemo mai. Certi spostamenti di masse d’aria gelide o torride di cui noi non facciamo grandi esperienze, perché abbiamo le Alpi, l’Appennino, o il mare che mitiga. Da loro nelle grandi pianure si creano delle bolle d’aria che si spostano magari a grande velocità e uccidono gli animali.
Andrea Centini
Fonte: Fanpage