Concluse nei mesi precedenti tutte le operazioni connesse all’invernamento l’apiario non richiede più alcun intervento se non la semplice azione di vigilanza periodica. A scanso di equivoci va affermato prima di ogni altra considerazione che durante l’inverno gli alveari vanno disturbati il meno possibile e allo stesso tempo vanno evitati tutti quegli stimoli negativi ambientali o da parte di altre persone. Le api disturbate consumano più .scorte, vanno più facilmente soggette a diarrea e a spopolamento fino a soccombere. Dopo questa necessaria premessa vediamo ora brevemente quali possono essere gli interventi tecnici richiesti durante l’inverno e quali eventi particolari si possono verificare.
Le avversità climatiche
Quando si pensa all’inverno e ai suoi rigori, il pensiero va diretto alla neve che si ritiene l’emblema delle avversità invernali. Tutto sommato questo concetto non è poi così rispondente in apicoltura perché la neve, anche se abbondante non costituisce di per sé particolare motivo di preoccupazione. Ben più temibile è invece l’umidità tanto da poter ritenere valido anche per le api un vecchio detto contadino che suona: « Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame». Sempre senza prescindere da un buon invernamento, le api possono rimanere tranquillamente e anche per molto tempo sotto la neve che anzi favorisce l’isolamento dalle perturbazioni e in particolare dal vento. Non è necessario allontanare la neve dagli alveari anche perché di solito, per il calore da essi sprigionato, la neve fonde precocemente nello spazio circostante le arnie. A questo proposito si rivelano molto comode le arnie provviste di portichetto il quale, anche se la nevicata è abbondante, rimane sempre sgombro. Più noie si possono avere quando le nevicate sono seguite da giornate di sole. In questi frangenti, infatti, stimolate dal tepore e dalla luce, molte api escono per la purificazione ma quelle che si posano sul manto nevoso perdono rapidamente calore e vigore e difficilmente sono in grado di riprendersi e rientrare. Per evitare questo fenomeno molti apicoltori usano cospargere intorno agli alveari paglia o foglie secche per dare un appoggio più tiepido e solido alle api, le quali dopo brevi soste saranno in grado di riprendere il volo e rientrare. Non deve comunque preoccupare il rilevare alcune api morte: si tratta di un fenomeno fisiologico di morte naturale per quella quota di soggetti più vecchi e malandati. Infine, lo scioglimento della neve mette in luce l’efficacia dello sgrondo delle tettoie; quelle a due spioventi si dimostrano in tal caso le migliori.

Ma il vero pericolo invernale è rappresentato dal vento che può costituire un fastidioso disturbo per le api e rendersi causa di danni diretti. Il più frequente è certamente lo scoperchiamento degli alveari e in questo caso il tetto piano si dimostra eccellente non consentendo, a differenza di quello a spioventi, alcun appiglio. Per il fissaggio del tetto a spioventi sarà bene ricorrere a sistemi sicuri quali ad esempio l’ancoraggio al nido mediante legature o meglio un nastro di camera d’aria di bicicletta modicamente teso. Altri apicoltori legano due mattoni ad uno spago che viene poi messo a cavalcioni degli spioventi. In ultimo il vento forte abbinato alla neve o quello che sopraggiunge dopo aver nevicato può avere la forza di ribaltare gli alveari; per cui è bene in circostanze simili effettuare dei controlli. Se l’alveare non si è aperto, rimesso in piedi, avrà buone probabilità di superare l’incidente.
Interventi di emergenza
Se le operazioni di invernamento e di integrazione delle scorte sono avvenute regolarmente entro il mese di settembre o al massimo in ottobre, le famiglie saranno capaci di raggiungere comodamente la stagione favorevole. Se invece per qualche motivo si ritiene di avere alcuni alveari in condizioni dubbie o critiche sarà opportuno provvedere in modo adeguato.
Non è però assolutamente il caso di attuare qualsiasi forma di nutrizione con sciroppi e l’unico modo di integrazione tardiva o di emergenza è rappresentata esclusivamente da favi di miele opercolato. In secondo luogo si può anche far ricorso al candito. Altrimenti ultima alternativa rimane valida la riunione anche tardiva, sempre in riferimento al concetto che, anche a parità di scorte e di api, un solo nucleo resisterà meglio che non due metà divise. La riunione può essere fatta preferibilmente verso sera anche con temperature molto basse riunendo i favi con le api in glomere direttamente senza alcun particolare accorgimento.
L’individuazione delle colonie che si possono trovare in condizioni difficili va tratta sulla scorta delle annotazioni fatte in fase di invernamento, sulla valutazione ponderale ed anche con osservazioni dirette accostando l’orecchio ad una parete e battendo un colpo con le nocche. Se tutto è regolare si percepisce subito un ronzio che va in crescendo e che presto torna al silenzio e che qualcuno ha paragonato al passaggio di un treno in transito che dopo il culmine sfuma fino a scomparire. Gli alveari che hanno scorte insufficienti dimostrano al contrario un rumore disordinato e persistente con modulazioni stridule spesso percepibili anche senza battere le nocche sulla parete.
È anche possibile trovare alveari che non danno alcuna risposta. Se siamo arrivati tardi sono alveari morti di fame ma talvolta si arriva nella fase di agonia. Prima di estinguersi le api rimangono per qualche tempo stordite e ferme ma con un intervento di emergenza si può arrivare alla ricostituzione del glomere e al salvataggio della colonia che seppure mediocre potrà essere salvata definitivamente con la riunione. Questi alveari stremati vanno innanzi tutto condotti al chiuso e al calore.
Si dovranno nutrire e stimolare le api con leggeri spruzzi di sciroppo leggermente tiepido. Lasciate al riparo per qualche giorno sarà bene provvedere in ultimo alla riunione con altre colonie…