venerdì , 24 Marzo 2023
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Sulla responsabilità oggettiva di un apicoltore

In alcune decisioni di merito si sostiene, invece, che l’illecito in questione rappresenta un’ipotesi di responsabilità aggravata, che si configura ogni qualvolta la prova della condotta colposa del proprietario o dell’utilizzatore dell’animale è difficile da raggiungere; ove tale prova sia di facile dimostrazione va applicata la norma generale contenuta nell’art. 2043 c.c. (Trib. Genova, 24 marzo 2010, Danno resp., 2011, 311; Trib Perugia, 4 luglio 1998 In Foro it., Rep. 1999, voce cit .n. 345; per esteso in Rass, Giur. Umbra, 1999, 72, con  nota di BELLOCCI).

SENTENZA

Cassazione Civile, sez. III, 22-03-2013, n. 7260- Pres. UCCELLA Fulvio- Est. SEGRETO Antonio- P.M. CARESTIA Antonietta – A.E. c. T.G.

MASSIMA

1) Poiché la responsabilità ex art. 2052 cod. civ. per danno cagionato da animali si fonda non su un comportamento o un’attività del proprietario, ma su una relazione (di proprietà o di uso) intercorrente tra questi e l’animale, e poiché il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore (il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all’animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Ne consegue che spetta all’attore provare l’esistenza del rapporto eziologico tra l’animale e l’evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa, bensì l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale. (Rigetta, App. Napoli, 10/01/2007).

2) Non rientrano nel novero degli animali selvatici – sottratti all’applicazione dell’art. 2052 cod. civ. – le api utilizzate da un apicoltore, il quale pertanto risponde ai sensi di tale disposizione e non dell’art. 2043 cod. civ. dei danni dalle stesse cagionati.

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4 Commenti

  1. Errore nella presentazione del ricorso, due errori gravi e uno lieve:
    1 la difesa asserisce che il motivo dello sporco di propoli sia dovuta alla posizione della casa all’interno della macchia mediterranea, facendo intendere ai giudici “non competenti” che le api avrebbero potuto sporcare la casa con propoli. mentre avrebbe dovuto, suppongo, precisare che le api, una volta raccolta la propoli non vanno in giro a cercare il nettare come descrive la sentenza sporcando quindi si propoli la casa, ma una volta raccolto la propoli ritornano immediatamente all’alveare a depositarla.
    2 I Giudici hanno inteso nella descrizione del ricorso, così come si legge nella sentenza “insufficiente il terreno di proprietà per alimentare tutte le 10 dieci casette e un nucleo” perdendo di vista che non esiste quantità di terreno sufficiente ad alimentare un alveare ma l’alimentazione è in funzione della produttività nettarifera del terreno spingendo le api fino a 3 km il raggio di azione.
    3 Era necessario richiamare alcune sentenze in riferimento alla semi selvaticità dei gatti, quali animali non controllabili proprio a causa della loro condizione, tra l’altro, a differenza del cane ne è vietata la costrizione.
    Suppongo con queste attenzioni la sentenza forse poteva avere un altro risultato.
    Dopo questo vi consiglio, per autocitarmi, la lettura del mio libro “Apicoltura in Sicurezza” edito da Montaonda Editore con presentazione di dott. Franco Mutinelli direttore dell’ Istituto Zoprofilattico delle Venezie. Buona lettura.

    • L’errore evidente che ha commesso il giudice è stato quello di assegnare la consulenza tecnica di ufficio a un tecnico non esperto in campo apistico.
      Di conseguenza anche il consulente tecnico di parte del convenuto non essendo un esperto apistico non ha saputo contestare la relazione tecnica d’ufficio sui seguenti punti:
      a) Le api raccolgono la propoli nelle ore più calde della giornata, quando è più malleabile, e la trasportano nelle cestelle del polline delle zampe posteriori ma, mai in letteratura si è scritto o letto che le api perdono un quantitativo enorme di pallottoline di propoli da sporcare tutta la zona circostante l’apiario.
      b) La sostanza scura, che sporca le terrazze, gli spazi esterni, e l’immobile, non è la propoli rilasciata dalle api nella loro attività di bottinatrice ma bensì, deiezioni rilasciate durante il normale volo di purificazione, che si manifesta in inverno o in primavera o quando le api hanno la diarrea per alcuni giorni. In questo caso, le deiezioni sono più accentuate, a causa della prolungata dimora all’interno dell’alveare e dell’impossibilità di uscire per liberarsi delle feci.
      c) Che il terreno dove sono posizionati gli alveari è insufficiente a soddisfare tutte le loro esigenze, dimenticandosi che le api nella loro attività di bottinatura, non conoscono i confini di una proprietà, raccolgono il nettare, la melata, il polline e il propoli, risorse di un ciclo naturale di interesse pubblico su una superficie di circa 28 Km2.

    • I dubbi sono:

      = nel raggio di 3km non c’era alcun apicoltore oltre al condannato?
      = api selvatiche neppure? È una zona così degradata?

  2. Cosa non evidenziata ma sicuramente da verificare: come fare a dimostrare che le api che hanno “causato” il danno sono state quelle dell’apicoltore condannato o altre api nel raggio di 3km incluse api selvatiche?

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