giovedì , 30 Novembre 2023
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Sulla responsabilità oggettiva di un apicoltore

Se  così  è,  il fatto che il proprietario sia stato diligente  non  esclude la sua responsabilità, per danno cagionato dall’animale,  se  non è provato il fortuito.

5.4.  Poichè  la responsabilità si fonda non su un comportamento  o  un’attività  del proprietario, ma su una relazione (di proprietà  o  di  uso)  intercorrente tra questi e l’animale, e poichè, il  limite  della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore (il  caso  fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile  (come  nelle prove liberatorie degli artt. 2047, 2048, 2050 e 2054 c.c.), ma  nelle  modalità  di causazione del danno, si deve  ritenere  che  la  rilevanza  del  fortuito  attiene  al  profilo  causale,  in   quanto  suscettibile   di   una  valutazione  che  consenta   di   ricondurre  all’elemento   esterno,  anzichè  all’animale  che  ne   è,   fonte  immediata,  il  danno concretamente verificatosi. Si intende,  così,  anche  la  ragione  dell’inversione dell’onere della  prova  prevista  dall’art. 2052 c.c., relativa alla ripartizione della prova sul nesso  causale.   All’attore  compete  provare  l’esistenza   del   rapporto  eziologico  tra  l’animale  e  l’evento  lesivo;  il  convenuto   per  liberarsi  dovrà, provare l’esistenza di un fattore,  estraneo  alla  sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.

6.1.  Contrariamente all’assunto del ricorrente la sentenza impugnata  ha fatto corretta applicazione dei principi suddetti. Anzitutto sulla  base degli accertamenti effettuati dal C.T.U. la sentenza ha appurato  che  le api in questione provenivano (nella villa dell’attrice) dagli  alveari  del  convenuto, attuale ricorrente,  che  si  trovavano  nel  terreno posto a soli 180 ml., mentre non vi erano altri alveari nelle  vicinanze;  che nella proprietà del convenuto vi erano 10  arnie  ed  un’arnietta e che il numero delle api era eccessivo rispetto a quello  che  poteva  nutrire  il terreno del convenuto, per  cui  l’eccessivo  carico  delle  api allevate dall’    A. comportava  necessariamente  che  queste  uscissero  dal suo terreno per “bottinare”  le  sostanze  resinose  su terreni attigui (nella specie quello dell’attrice);  che  dalla consulenza di ufficio emergeva la presenza sulla terrazza della  villa,  sulle  pareti e sugli infissi di vistose  macchie  scure  che  analizzate sono risultati essere “propoli”, che è sostanza  prodotta  dalle api mellifere.

Ne  consegue  che, avendo la corte accertato che le  api  provenivano  dalle  arnie  del  convenuto e che la villa  dell’attrice  presentava  vistose macchie scure costituite dai propoli delle api, correttamente  ha  ritenuto  la  responsabilità del convenuto, fondata  sulla  sola  relazione di proprietà (o di uso) tra lo stesso e le api.

La  corte  ha  rilevato, altresì, che il convenuto  non  ha  fornito  alcuna prova liberatoria del caso fortuito, anzi risultando accertato  che  lo sconfinamento delle api era dovuto all’eccessivo numero dello  stesso  rispetto  alle  potenzialità nutrizionali  del  terreno  del  convenuto.

Tali  motivazioni  della sentenza impugnata sono  immuni  da  censure  rilevabili in questa sede di legittimità.

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4 Commenti

  1. Errore nella presentazione del ricorso, due errori gravi e uno lieve:
    1 la difesa asserisce che il motivo dello sporco di propoli sia dovuta alla posizione della casa all’interno della macchia mediterranea, facendo intendere ai giudici “non competenti” che le api avrebbero potuto sporcare la casa con propoli. mentre avrebbe dovuto, suppongo, precisare che le api, una volta raccolta la propoli non vanno in giro a cercare il nettare come descrive la sentenza sporcando quindi si propoli la casa, ma una volta raccolto la propoli ritornano immediatamente all’alveare a depositarla.
    2 I Giudici hanno inteso nella descrizione del ricorso, così come si legge nella sentenza “insufficiente il terreno di proprietà per alimentare tutte le 10 dieci casette e un nucleo” perdendo di vista che non esiste quantità di terreno sufficiente ad alimentare un alveare ma l’alimentazione è in funzione della produttività nettarifera del terreno spingendo le api fino a 3 km il raggio di azione.
    3 Era necessario richiamare alcune sentenze in riferimento alla semi selvaticità dei gatti, quali animali non controllabili proprio a causa della loro condizione, tra l’altro, a differenza del cane ne è vietata la costrizione.
    Suppongo con queste attenzioni la sentenza forse poteva avere un altro risultato.
    Dopo questo vi consiglio, per autocitarmi, la lettura del mio libro “Apicoltura in Sicurezza” edito da Montaonda Editore con presentazione di dott. Franco Mutinelli direttore dell’ Istituto Zoprofilattico delle Venezie. Buona lettura.

    • L’errore evidente che ha commesso il giudice è stato quello di assegnare la consulenza tecnica di ufficio a un tecnico non esperto in campo apistico.
      Di conseguenza anche il consulente tecnico di parte del convenuto non essendo un esperto apistico non ha saputo contestare la relazione tecnica d’ufficio sui seguenti punti:
      a) Le api raccolgono la propoli nelle ore più calde della giornata, quando è più malleabile, e la trasportano nelle cestelle del polline delle zampe posteriori ma, mai in letteratura si è scritto o letto che le api perdono un quantitativo enorme di pallottoline di propoli da sporcare tutta la zona circostante l’apiario.
      b) La sostanza scura, che sporca le terrazze, gli spazi esterni, e l’immobile, non è la propoli rilasciata dalle api nella loro attività di bottinatrice ma bensì, deiezioni rilasciate durante il normale volo di purificazione, che si manifesta in inverno o in primavera o quando le api hanno la diarrea per alcuni giorni. In questo caso, le deiezioni sono più accentuate, a causa della prolungata dimora all’interno dell’alveare e dell’impossibilità di uscire per liberarsi delle feci.
      c) Che il terreno dove sono posizionati gli alveari è insufficiente a soddisfare tutte le loro esigenze, dimenticandosi che le api nella loro attività di bottinatura, non conoscono i confini di una proprietà, raccolgono il nettare, la melata, il polline e il propoli, risorse di un ciclo naturale di interesse pubblico su una superficie di circa 28 Km2.

    • I dubbi sono:

      = nel raggio di 3km non c’era alcun apicoltore oltre al condannato?
      = api selvatiche neppure? È una zona così degradata?

  2. Cosa non evidenziata ma sicuramente da verificare: come fare a dimostrare che le api che hanno “causato” il danno sono state quelle dell’apicoltore condannato o altre api nel raggio di 3km incluse api selvatiche?

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