Se così è, il fatto che il proprietario sia stato diligente non esclude la sua responsabilità, per danno cagionato dall’animale, se non è provato il fortuito.
5.4. Poichè la responsabilità si fonda non su un comportamento o un’attività del proprietario, ma su una relazione (di proprietà o di uso) intercorrente tra questi e l’animale, e poichè, il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore (il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile (come nelle prove liberatorie degli artt. 2047, 2048, 2050 e 2054 c.c.), ma nelle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che la rilevanza del fortuito attiene al profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all’elemento esterno, anzichè all’animale che ne è, fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Si intende, così, anche la ragione dell’inversione dell’onere della prova prevista dall’art. 2052 c.c., relativa alla ripartizione della prova sul nesso causale. All’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra l’animale e l’evento lesivo; il convenuto per liberarsi dovrà, provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
6.1. Contrariamente all’assunto del ricorrente la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi suddetti. Anzitutto sulla base degli accertamenti effettuati dal C.T.U. la sentenza ha appurato che le api in questione provenivano (nella villa dell’attrice) dagli alveari del convenuto, attuale ricorrente, che si trovavano nel terreno posto a soli 180 ml., mentre non vi erano altri alveari nelle vicinanze; che nella proprietà del convenuto vi erano 10 arnie ed un’arnietta e che il numero delle api era eccessivo rispetto a quello che poteva nutrire il terreno del convenuto, per cui l’eccessivo carico delle api allevate dall’ A. comportava necessariamente che queste uscissero dal suo terreno per “bottinare” le sostanze resinose su terreni attigui (nella specie quello dell’attrice); che dalla consulenza di ufficio emergeva la presenza sulla terrazza della villa, sulle pareti e sugli infissi di vistose macchie scure che analizzate sono risultati essere “propoli”, che è sostanza prodotta dalle api mellifere.
Ne consegue che, avendo la corte accertato che le api provenivano dalle arnie del convenuto e che la villa dell’attrice presentava vistose macchie scure costituite dai propoli delle api, correttamente ha ritenuto la responsabilità del convenuto, fondata sulla sola relazione di proprietà (o di uso) tra lo stesso e le api.
La corte ha rilevato, altresì, che il convenuto non ha fornito alcuna prova liberatoria del caso fortuito, anzi risultando accertato che lo sconfinamento delle api era dovuto all’eccessivo numero dello stesso rispetto alle potenzialità nutrizionali del terreno del convenuto.
Tali motivazioni della sentenza impugnata sono immuni da censure rilevabili in questa sede di legittimità.
Errore nella presentazione del ricorso, due errori gravi e uno lieve:
1 la difesa asserisce che il motivo dello sporco di propoli sia dovuta alla posizione della casa all’interno della macchia mediterranea, facendo intendere ai giudici “non competenti” che le api avrebbero potuto sporcare la casa con propoli. mentre avrebbe dovuto, suppongo, precisare che le api, una volta raccolta la propoli non vanno in giro a cercare il nettare come descrive la sentenza sporcando quindi si propoli la casa, ma una volta raccolto la propoli ritornano immediatamente all’alveare a depositarla.
2 I Giudici hanno inteso nella descrizione del ricorso, così come si legge nella sentenza “insufficiente il terreno di proprietà per alimentare tutte le 10 dieci casette e un nucleo” perdendo di vista che non esiste quantità di terreno sufficiente ad alimentare un alveare ma l’alimentazione è in funzione della produttività nettarifera del terreno spingendo le api fino a 3 km il raggio di azione.
3 Era necessario richiamare alcune sentenze in riferimento alla semi selvaticità dei gatti, quali animali non controllabili proprio a causa della loro condizione, tra l’altro, a differenza del cane ne è vietata la costrizione.
Suppongo con queste attenzioni la sentenza forse poteva avere un altro risultato.
Dopo questo vi consiglio, per autocitarmi, la lettura del mio libro “Apicoltura in Sicurezza” edito da Montaonda Editore con presentazione di dott. Franco Mutinelli direttore dell’ Istituto Zoprofilattico delle Venezie. Buona lettura.
L’errore evidente che ha commesso il giudice è stato quello di assegnare la consulenza tecnica di ufficio a un tecnico non esperto in campo apistico.
Di conseguenza anche il consulente tecnico di parte del convenuto non essendo un esperto apistico non ha saputo contestare la relazione tecnica d’ufficio sui seguenti punti:
a) Le api raccolgono la propoli nelle ore più calde della giornata, quando è più malleabile, e la trasportano nelle cestelle del polline delle zampe posteriori ma, mai in letteratura si è scritto o letto che le api perdono un quantitativo enorme di pallottoline di propoli da sporcare tutta la zona circostante l’apiario.
b) La sostanza scura, che sporca le terrazze, gli spazi esterni, e l’immobile, non è la propoli rilasciata dalle api nella loro attività di bottinatrice ma bensì, deiezioni rilasciate durante il normale volo di purificazione, che si manifesta in inverno o in primavera o quando le api hanno la diarrea per alcuni giorni. In questo caso, le deiezioni sono più accentuate, a causa della prolungata dimora all’interno dell’alveare e dell’impossibilità di uscire per liberarsi delle feci.
c) Che il terreno dove sono posizionati gli alveari è insufficiente a soddisfare tutte le loro esigenze, dimenticandosi che le api nella loro attività di bottinatura, non conoscono i confini di una proprietà, raccolgono il nettare, la melata, il polline e il propoli, risorse di un ciclo naturale di interesse pubblico su una superficie di circa 28 Km2.
I dubbi sono:
= nel raggio di 3km non c’era alcun apicoltore oltre al condannato?
= api selvatiche neppure? È una zona così degradata?
Cosa non evidenziata ma sicuramente da verificare: come fare a dimostrare che le api che hanno “causato” il danno sono state quelle dell’apicoltore condannato o altre api nel raggio di 3km incluse api selvatiche?