giovedì , 23 Marzo 2023
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Sulla responsabilità oggettiva di un apicoltore

6.2. Impostata in termini di responsabilità oggettiva è irrilevante  ogni  questione in merito alla pretesa mancanza di culpa in vigilando  o in custodendo del convenuto o di altra forma di colpa.

6.3.  Quanto  alla censura secondo cui la consulenza non  costituisce  mezzo di prova, va osservato che la consulenza tecnica, anche se  non  costituisce, in linea di massima, mezzo di prova, ma strumento per la  valutazione  della  prova acquisita, tuttavia rappresenta  una  fonte  oggettiva  di  prova  quando  si risolve nell’accertamento  di  fatti  rilevabili  unicamente  con  l’ausilio  di  specifiche  cognizioni  o  strumentazioni tecniche (Cass. n. 15630/2000; 1020 del 19/01/2006).

Tanto  si  è  appunto  verificato nella fattispecie,  in  quanto  la  sentenza  impugnata  da atto che solo un tecnico poteva  indicare  al  giudice   la   natura  della  sostanza  imbrattante   la   proprietà  dell’attrice,  il  tipo  di  insetti  che  la  produce,  il  tipo  di  apicoltura  praticato  dal  convenuto  e  l’eccesivo  numero  di  api  possedute in relazione al terreno posseduto.

Ne  consegue  che  è infondata la censura mossa  dal  ricorrente  in  merito alla circostanza che il giudice di merito abbia ricostruito  i  fatti di causa sulla base della consulenza tecnica.

6.4.   Infondata  è  anche  la  censura  di  inapplicabilità   alla  fattispecie  dell’art. 2052 c.c., vertendosi in  ipotesi  di  animali  selvatici.

E’  vero  che  in linea di principio (Cass. n. 27673 del  21/11/2008;

Cass.  10008 del 24/06/2003) il danno cagionato dalla fauna selvatica  non  è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052  cod. civ., inapplicabile alla selvaggina, il cui stato di libertà è  incompatibile  con un qualsiasi obbligo di custodia  da  parte  della  P.A.,   ma  soltanto  alla  stregua  dei  principi  generali  sanciti  dall’art. 2043 cod. civ., e tanto anche in tema di onere della  prova  con   la   conseguente  necessaria  individuazione  di  un   concreto  comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico (cui generalmente  fa capo la responsabilità dei danni da animale selvatico).

Sennonchè nella fattispecie le api, come correttamente rilevato  dal  giudice  di merito (cui tale accertamento di fatto compete) non  sono  “animali  selvatici”, tenuto conto che essi sono  pienamente  gestite  dall’apicoltore,   che   attraverso   il   loro   “utilizzo”   svolge  un’attività economicamente rilevante.

7.  Con  il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta  il  vizio  motivazionale dell’impugnata sentenza ex art. 360 c.c., n. 5.

Il  ricorrente  si  limita a dire: “le considerazioni  che  precedono  rendono  evidente l’illegittimità della sentenza impugnata anche  in  ordine  alla  sussistenza ed alla quantificazione del  preteso  danno  apoditticamente ed immotivatamente affermato e liquidato dai  giudici  di appello nella sentenza che con il presente atto si impugna”.

Quindi il motivo si conclude con il presente quesito: ” dica la  S.C.  che  ai fini della condanna risarcitoria e della quantificazione  del  danno  ai  sensi  dell’art. 2052 c.c., deve essere accertato  sia  il  danno sia la responsabilità”.

8.  Il motivo è inammissibile sia per genericità sia per violazione  dell’art. 366 bis c.p.c.

Va,  infatti, osservato che il motivo d’impugnazione è rappresentato  dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui  il  mezzo  è  regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo  chi  esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con  la  conseguenza  che,  in  quanto per denunciare  un  errore  bisogna  identificarlo  e,  quindi, fornirne la rappresentazione,  l’esercizio  del   diritto   d’impugnazione  di  una  decisione  giudiziale   può  considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con  i  quali  è  esplicato  si  concretino in una critica  della  decisione  impugnata  e,  quindi, nell’esplicita e specifica  indicazione  delle  ragioni  per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate  come  tali,  debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono  e  da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo  che  non  rispetti  tale requisito considerarsi nullo per  inidoneità  al  raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per  Cassazione  tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è  espressamente  sanzionata con l’inammissibilità ai  sensi  dell’art.  366 cod. proc. civ., n. 4 (Cass. n. 359 del 11/01/2005).

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4 Commenti

  1. Errore nella presentazione del ricorso, due errori gravi e uno lieve:
    1 la difesa asserisce che il motivo dello sporco di propoli sia dovuta alla posizione della casa all’interno della macchia mediterranea, facendo intendere ai giudici “non competenti” che le api avrebbero potuto sporcare la casa con propoli. mentre avrebbe dovuto, suppongo, precisare che le api, una volta raccolta la propoli non vanno in giro a cercare il nettare come descrive la sentenza sporcando quindi si propoli la casa, ma una volta raccolto la propoli ritornano immediatamente all’alveare a depositarla.
    2 I Giudici hanno inteso nella descrizione del ricorso, così come si legge nella sentenza “insufficiente il terreno di proprietà per alimentare tutte le 10 dieci casette e un nucleo” perdendo di vista che non esiste quantità di terreno sufficiente ad alimentare un alveare ma l’alimentazione è in funzione della produttività nettarifera del terreno spingendo le api fino a 3 km il raggio di azione.
    3 Era necessario richiamare alcune sentenze in riferimento alla semi selvaticità dei gatti, quali animali non controllabili proprio a causa della loro condizione, tra l’altro, a differenza del cane ne è vietata la costrizione.
    Suppongo con queste attenzioni la sentenza forse poteva avere un altro risultato.
    Dopo questo vi consiglio, per autocitarmi, la lettura del mio libro “Apicoltura in Sicurezza” edito da Montaonda Editore con presentazione di dott. Franco Mutinelli direttore dell’ Istituto Zoprofilattico delle Venezie. Buona lettura.

    • L’errore evidente che ha commesso il giudice è stato quello di assegnare la consulenza tecnica di ufficio a un tecnico non esperto in campo apistico.
      Di conseguenza anche il consulente tecnico di parte del convenuto non essendo un esperto apistico non ha saputo contestare la relazione tecnica d’ufficio sui seguenti punti:
      a) Le api raccolgono la propoli nelle ore più calde della giornata, quando è più malleabile, e la trasportano nelle cestelle del polline delle zampe posteriori ma, mai in letteratura si è scritto o letto che le api perdono un quantitativo enorme di pallottoline di propoli da sporcare tutta la zona circostante l’apiario.
      b) La sostanza scura, che sporca le terrazze, gli spazi esterni, e l’immobile, non è la propoli rilasciata dalle api nella loro attività di bottinatrice ma bensì, deiezioni rilasciate durante il normale volo di purificazione, che si manifesta in inverno o in primavera o quando le api hanno la diarrea per alcuni giorni. In questo caso, le deiezioni sono più accentuate, a causa della prolungata dimora all’interno dell’alveare e dell’impossibilità di uscire per liberarsi delle feci.
      c) Che il terreno dove sono posizionati gli alveari è insufficiente a soddisfare tutte le loro esigenze, dimenticandosi che le api nella loro attività di bottinatura, non conoscono i confini di una proprietà, raccolgono il nettare, la melata, il polline e il propoli, risorse di un ciclo naturale di interesse pubblico su una superficie di circa 28 Km2.

    • I dubbi sono:

      = nel raggio di 3km non c’era alcun apicoltore oltre al condannato?
      = api selvatiche neppure? È una zona così degradata?

  2. Cosa non evidenziata ma sicuramente da verificare: come fare a dimostrare che le api che hanno “causato” il danno sono state quelle dell’apicoltore condannato o altre api nel raggio di 3km incluse api selvatiche?

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