4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2052 e 2043 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere considerato che il preteso danno da “propoli” di api era da ascriversi esclusivamente al fatto che la villa dell’attrice si trovava in mezzo alla macchia mediterranea e quindi la presenza di tali propoli era la conseguenza dell’ubicazione della villa.
5.1. I suddetti 4 motivi vanno esaminati congiuntamente stante la loro connessione.
Essi sono infondati e vanno rigettati.
Osserva preliminarmente questa Corte che la responsabilità, indicata dall’art. 2052 cod. civ., per il danno provocato da animali è caratterizzata dal fatto che i soggetti indicati dalla norma rispondono per il solo nesso di causalità, fra l’azione dell’animale e l’evento del quale è, chiamato a rispondere il proprietario dell’animale, oppure il soggetto che l’abbia utilizzato (Cass. 23.1.2006, n. 1210).
Detta responsabilità per danni causati dall’animale è esclusa solo se il responsabile (proprietario o chi si serve dell’animale), “provi il caso fortuito”.
Trattasi della stessa formula esimente adottata dal legislatore nell’ipotesi di responsabilità, per danno cagionato da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 c.c.
5.2. Non si tratta, quindi di un caso di presunzione di colpa, ma di responsabilità, e, quindi, di responsabilità, oggettiva. La responsabilità si fonda sul mero rapporto di uso dell’animale; e solo lo stato di fatto, e non l’obbligo di vigilanza, può, assumere rilievo nella fattispecie.
Infatti il dato lessicale della norma in esame ritiene sufficiente, per l’applicazione della stessa, la sussistenza del rapporto (proprietà o uso) tra il responsabile e l’animale che ha dato luogo all’evento lesivo. Sempre dalla lettera dell’art. 2052 c.c., emerge che il danno e, cagionato non da un comportamento (per quanto omissivo) del responsabile, ma dall’animale, per cui detto comportamento è irrilevante.
Responsabile del danno cagionato dall’animale è colui che essenzialmente ha la proprietà o l’uso dell’animale, ma il termine non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire o di vigilare la cosa, e quindi non rileva la violazione di detto obbligo.
Ciò è tanto più rilevante se si osserva che il contesto, nel quale trovasi la norma in questione, è relativo ad altre ipotesi (artt. 2047, 2048, 2050, 2054, c.c.) ben diversamente strutturate, in cui la presunzione non attiene alla responsabilità, ma alla colpa, per cui la prova liberatoria, in siffatte altre ipotesi, ha appunto ad oggetto il superamento di detta presunzione di colpa.
5.3. Il limite della responsabilità del proprietario (o utente) costituito dal fortuito, integra il punto nodale del dibattuto tema concernente la natura (soggettiva o oggettiva) della responsabilità, ex art. 2052 c.c.. Se si dovesse sostenere la natura soggettiva della responsabilità, in questione (presunzione di colpa) il fortuito dovrebbe consistere solo nella situazione in cui il proprietario è esente da colpa, essendo invece irrilevante l’efficacia causale del fattore esterno sul nesso causale. Sennonchè tale assunto contrasta con il principio che la prova del fortuito non si identifica con l’assenza di colpa e può apparire artificioso, come rilevato dalla dottrina, in quanto la presunzione è logicamente costruibile solo sull’oggetto della prova contraria.
Errore nella presentazione del ricorso, due errori gravi e uno lieve:
1 la difesa asserisce che il motivo dello sporco di propoli sia dovuta alla posizione della casa all’interno della macchia mediterranea, facendo intendere ai giudici “non competenti” che le api avrebbero potuto sporcare la casa con propoli. mentre avrebbe dovuto, suppongo, precisare che le api, una volta raccolta la propoli non vanno in giro a cercare il nettare come descrive la sentenza sporcando quindi si propoli la casa, ma una volta raccolto la propoli ritornano immediatamente all’alveare a depositarla.
2 I Giudici hanno inteso nella descrizione del ricorso, così come si legge nella sentenza “insufficiente il terreno di proprietà per alimentare tutte le 10 dieci casette e un nucleo” perdendo di vista che non esiste quantità di terreno sufficiente ad alimentare un alveare ma l’alimentazione è in funzione della produttività nettarifera del terreno spingendo le api fino a 3 km il raggio di azione.
3 Era necessario richiamare alcune sentenze in riferimento alla semi selvaticità dei gatti, quali animali non controllabili proprio a causa della loro condizione, tra l’altro, a differenza del cane ne è vietata la costrizione.
Suppongo con queste attenzioni la sentenza forse poteva avere un altro risultato.
Dopo questo vi consiglio, per autocitarmi, la lettura del mio libro “Apicoltura in Sicurezza” edito da Montaonda Editore con presentazione di dott. Franco Mutinelli direttore dell’ Istituto Zoprofilattico delle Venezie. Buona lettura.
L’errore evidente che ha commesso il giudice è stato quello di assegnare la consulenza tecnica di ufficio a un tecnico non esperto in campo apistico.
Di conseguenza anche il consulente tecnico di parte del convenuto non essendo un esperto apistico non ha saputo contestare la relazione tecnica d’ufficio sui seguenti punti:
a) Le api raccolgono la propoli nelle ore più calde della giornata, quando è più malleabile, e la trasportano nelle cestelle del polline delle zampe posteriori ma, mai in letteratura si è scritto o letto che le api perdono un quantitativo enorme di pallottoline di propoli da sporcare tutta la zona circostante l’apiario.
b) La sostanza scura, che sporca le terrazze, gli spazi esterni, e l’immobile, non è la propoli rilasciata dalle api nella loro attività di bottinatrice ma bensì, deiezioni rilasciate durante il normale volo di purificazione, che si manifesta in inverno o in primavera o quando le api hanno la diarrea per alcuni giorni. In questo caso, le deiezioni sono più accentuate, a causa della prolungata dimora all’interno dell’alveare e dell’impossibilità di uscire per liberarsi delle feci.
c) Che il terreno dove sono posizionati gli alveari è insufficiente a soddisfare tutte le loro esigenze, dimenticandosi che le api nella loro attività di bottinatura, non conoscono i confini di una proprietà, raccolgono il nettare, la melata, il polline e il propoli, risorse di un ciclo naturale di interesse pubblico su una superficie di circa 28 Km2.
I dubbi sono:
= nel raggio di 3km non c’era alcun apicoltore oltre al condannato?
= api selvatiche neppure? È una zona così degradata?
Cosa non evidenziata ma sicuramente da verificare: come fare a dimostrare che le api che hanno “causato” il danno sono state quelle dell’apicoltore condannato o altre api nel raggio di 3km incluse api selvatiche?