venerdì , 24 Marzo 2023
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Sulla responsabilità oggettiva di un apicoltore

4.  Con  il  quarto  motivo  di  ricorso  il  ricorrente  lamenta  la  violazione   degli   artt.  2052  e  2043  c.c.,  nonchè   l’omessa,  insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere considerato  che   il  preteso  danno  da  “propoli”  di  api  era  da  ascriversi  esclusivamente al fatto che la villa dell’attrice si trovava in mezzo  alla macchia mediterranea e quindi la presenza di tali propoli era la  conseguenza dell’ubicazione della villa.

5.1.  I  suddetti 4 motivi vanno esaminati congiuntamente  stante  la  loro connessione.

Essi sono infondati e vanno rigettati.

Osserva preliminarmente questa Corte che la responsabilità, indicata  dall’art.  2052  cod.  civ., per il danno  provocato  da  animali  è  caratterizzata  dal  fatto  che  i  soggetti  indicati  dalla   norma  rispondono per il solo nesso di causalità, fra l’azione dell’animale  e  l’evento  del  quale  è,  chiamato a rispondere  il  proprietario  dell’animale,  oppure  il  soggetto  che  l’abbia  utilizzato  (Cass.  23.1.2006, n. 1210).

Detta responsabilità per danni causati dall’animale è esclusa  solo  se il responsabile (proprietario o chi si serve dell’animale), “provi  il caso fortuito”.

Trattasi  della  stessa  formula esimente  adottata  dal  legislatore  nell’ipotesi  di  responsabilità, per danno  cagionato  da  cosa  in  custodia, di cui all’art. 2051 c.c.

5.2. Non si tratta, quindi di un caso di presunzione di colpa, ma  di  responsabilità,  e,  quindi,  di  responsabilità,   oggettiva.   La  responsabilità  si  fonda sul mero rapporto di uso  dell’animale;  e  solo  lo stato di fatto, e non l’obbligo di vigilanza, può, assumere  rilievo nella fattispecie.

Infatti  il  dato lessicale della norma in esame ritiene sufficiente,  per   l’applicazione  della  stessa,  la  sussistenza  del   rapporto  (proprietà o uso) tra il responsabile e l’animale che ha dato  luogo  all’evento  lesivo. Sempre dalla lettera dell’art. 2052 c.c.,  emerge  che  il  danno  e,  cagionato  non da un  comportamento  (per  quanto  omissivo)   del   responsabile,  ma  dall’animale,  per   cui   detto  comportamento è irrilevante.

Responsabile   del  danno  cagionato  dall’animale   è   colui   che  essenzialmente ha la proprietà o l’uso dell’animale, ma  il  termine  non  presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire  o  di  vigilare la cosa, e quindi non rileva la violazione di detto obbligo.

Ciò è tanto più rilevante se si osserva che il contesto, nel quale  trovasi  la  norma in questione, è relativo ad altre ipotesi  (artt.  2047, 2048, 2050, 2054, c.c.) ben diversamente strutturate, in cui la  presunzione non attiene alla responsabilità, ma alla colpa, per  cui  la  prova  liberatoria,  in siffatte altre  ipotesi,  ha  appunto  ad  oggetto il superamento di detta presunzione di colpa.

5.3.  Il  limite  della responsabilità del proprietario  (o  utente)  costituito  dal fortuito, integra il punto nodale del dibattuto  tema  concernente la natura (soggettiva o oggettiva) della responsabilità,  ex art. 2052 c.c.. Se si dovesse sostenere la natura soggettiva della  responsabilità,  in  questione (presunzione di  colpa)  il  fortuito  dovrebbe  consistere solo nella situazione in cui il proprietario  è  esente  da colpa, essendo invece irrilevante l’efficacia causale  del  fattore  esterno sul nesso causale. Sennonchè tale assunto contrasta  con  il  principio  che la prova del fortuito non si  identifica  con  l’assenza  di colpa e può apparire artificioso, come rilevato  dalla  dottrina,  in  quanto la presunzione è logicamente costruibile  solo  sull’oggetto della prova contraria.

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4 Commenti

  1. Errore nella presentazione del ricorso, due errori gravi e uno lieve:
    1 la difesa asserisce che il motivo dello sporco di propoli sia dovuta alla posizione della casa all’interno della macchia mediterranea, facendo intendere ai giudici “non competenti” che le api avrebbero potuto sporcare la casa con propoli. mentre avrebbe dovuto, suppongo, precisare che le api, una volta raccolta la propoli non vanno in giro a cercare il nettare come descrive la sentenza sporcando quindi si propoli la casa, ma una volta raccolto la propoli ritornano immediatamente all’alveare a depositarla.
    2 I Giudici hanno inteso nella descrizione del ricorso, così come si legge nella sentenza “insufficiente il terreno di proprietà per alimentare tutte le 10 dieci casette e un nucleo” perdendo di vista che non esiste quantità di terreno sufficiente ad alimentare un alveare ma l’alimentazione è in funzione della produttività nettarifera del terreno spingendo le api fino a 3 km il raggio di azione.
    3 Era necessario richiamare alcune sentenze in riferimento alla semi selvaticità dei gatti, quali animali non controllabili proprio a causa della loro condizione, tra l’altro, a differenza del cane ne è vietata la costrizione.
    Suppongo con queste attenzioni la sentenza forse poteva avere un altro risultato.
    Dopo questo vi consiglio, per autocitarmi, la lettura del mio libro “Apicoltura in Sicurezza” edito da Montaonda Editore con presentazione di dott. Franco Mutinelli direttore dell’ Istituto Zoprofilattico delle Venezie. Buona lettura.

    • L’errore evidente che ha commesso il giudice è stato quello di assegnare la consulenza tecnica di ufficio a un tecnico non esperto in campo apistico.
      Di conseguenza anche il consulente tecnico di parte del convenuto non essendo un esperto apistico non ha saputo contestare la relazione tecnica d’ufficio sui seguenti punti:
      a) Le api raccolgono la propoli nelle ore più calde della giornata, quando è più malleabile, e la trasportano nelle cestelle del polline delle zampe posteriori ma, mai in letteratura si è scritto o letto che le api perdono un quantitativo enorme di pallottoline di propoli da sporcare tutta la zona circostante l’apiario.
      b) La sostanza scura, che sporca le terrazze, gli spazi esterni, e l’immobile, non è la propoli rilasciata dalle api nella loro attività di bottinatrice ma bensì, deiezioni rilasciate durante il normale volo di purificazione, che si manifesta in inverno o in primavera o quando le api hanno la diarrea per alcuni giorni. In questo caso, le deiezioni sono più accentuate, a causa della prolungata dimora all’interno dell’alveare e dell’impossibilità di uscire per liberarsi delle feci.
      c) Che il terreno dove sono posizionati gli alveari è insufficiente a soddisfare tutte le loro esigenze, dimenticandosi che le api nella loro attività di bottinatura, non conoscono i confini di una proprietà, raccolgono il nettare, la melata, il polline e il propoli, risorse di un ciclo naturale di interesse pubblico su una superficie di circa 28 Km2.

    • I dubbi sono:

      = nel raggio di 3km non c’era alcun apicoltore oltre al condannato?
      = api selvatiche neppure? È una zona così degradata?

  2. Cosa non evidenziata ma sicuramente da verificare: come fare a dimostrare che le api che hanno “causato” il danno sono state quelle dell’apicoltore condannato o altre api nel raggio di 3km incluse api selvatiche?

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