Vediamo un po’ anche quest’anno se siamo capaci di fare un bilancio abbastanza soddisfacente della nostra annata apistica malgrado gli alti e bassi che ha registrato questa pazza stagione. Da quanto si sente in giro sembra che sia stata migliore della precedente; certamente con la primavera incerta e l’estate molto piovosa quel poco che hanno potuto fare le nostre api non è bastato per riempire il maturatore.
Anche la montagna, benchè la fioritura di rododendro sia stata abbondante, con le notti fredde e i giorni piovosi non ha dato molto nettare e in certe zone il raccolto è stato quasi nullo. Inoltre nelle zone limitrofe a boschi di larici c’è stato anche l’inconveniente della mielata di manna, prodotto non commerciabile e anche mal digeribile dalle api specialmente se somministrato in autunno e che può provocare durante l’inverno forme di diarrea con grande spopolamento delle famiglie.
Voglio dare un consiglio per usufruire al meglio questo prodotto: dopo aver tolto dai favi quel poco miele che ne esce, riunire i favi pieni e quelli semipieni e collocarli in un luogo fresco e possibilmente asciutto, sollevati da terra almeno 20-30 centimetri con sotto un fondo chiuso. Sopra, mettere un melario vuoto e collocarvi all’interno una tazzina o un piattino con circa 2 cucchiai di acido acetico, il quale, evaporando lentamente, li preserverà dalle tarme e da eventuali forme di micosi e spore di nosema; infine ricoprire il tutto con un coperchio da nido o comunque con delle assi. Lasciare il tutto fino alla prossima primavera poichè i favi si conservano benissimo e non subiscono alterazioni; due o tre giorni prima di iniziare la nutrizione mettere i favi a bagno in un recipiente d’acqua abbastanza largo, coperti da un peso in modo che stiano completamente in ammollo, versarvi quindi sopra una manciata di sale da cucina e mescolare un pò; dopo 24-30 ore levare i favi e scrollarli da ambedue i lati: vedrete come la manna uscirà con facilità.
Si otterrà così un liquido dolciastro e leggermente salato che si farà bollire per invertirlo e renderlo digeribile e che si aggiungerà allo sciroppo preparato a parte nelle normali dosi di 50 a 50. Aggiungere a volontà anche l’aglio come già più volte descritto o il lievito di birra. Avrete così un ottimo nutrimento stimolante, contenente inoltre il sale che in questa stagione è indispensabile per le api che non lo trovano ancora in natura.
I favi vanno fatti asciugare all’aria o al sole e sono così pronti per il melario, nella speranza che la prossima annata vengano riempiti di buon miele. La stessa operazione si può fare anche in autunno, c’è però il pericolo che il liquido fermenti se non viene conservato in frigorifero ed inoltre, come detto prima, è pericoloso usarlo per la nutrizione autunnale.

Veniamo ora ai lavori del mese: come sempre ottobre si presenta grintoso e con tempo incerto le giornate si sono accorciate e le notti piuttosto fredde inducono le api a ritirarsi al centro della loro casetta formando una specie di glomere, per poi scomporlo con il levar del sole. Nelle belle giornate le api raccolgono quei pochi granelli di polline ancora rimasti e qualche goccia di nettare appena sufficiente per sopravvivere. Nei nidi in questo mese ci deve essere abbondanza di scorte, almeno una fascia orrizzontale di 8-10 cm. su ogni telaino coperto d’api altrimenti bisogna nutrire o unirne altri più forti.
Questo controllo dovrebbe essere già stato fatto a fine settembre come anche la restrizione dei nidi lasciando nell’alveare solo i favi coperti d’api e levando quelli vuoti. Vanno tolti e messi in magazzino i favi laterali pieni di miele, che verranno dati come nutrimento alle api in primavera dopo aver tolto gli opercoli mediante graffiatura. Questa operazione serve anche a garantire la purezza del miele non usato dalle api in vista dei trattamenti con i vari prodotti usati contro la Varroa o altre malattie.
Con l’avanzare del mese è bene provvedere a riempire i vuoti rimasti con cartone o altro materiale coibente allo scopo di tener caldo il nido dove ci sarà l’ultima covata, molto utile questa per avere api giovani a primavera.
Penso che tutti abbiano fatto i trattamenti tamponi, nel periodo consigliato, per una maggiore efficacia. Se si usano strisce a lento rilascio Apivar o Apitraz è opportuno che le api siano ancora in movimento in quanto il contatto è più sicuro: se usato dopo la smielatura si ottiene un ottimo risultato di caduta fino al 95 %. Le strisce vanno lasciate dentro l’alveare per almeno 42 giorni. In caso di allontanamento delle strisce all’interno dell’alveare queste vanno riposizionate e lasciate nell’alveare prolungando di 14 giorni il trattamento prima di rimuoverle. Le strisce devono essere rimosse dopo un massimo di 56 giorni.
Altri consigli per questo mese: fare molta attenzione ai saccheggi, specialmente durante la nutrizione. Restringere quindi le porticine e chiudere bene i coprifavi ed eventuali fessure dove possono passare le api. Altro lavoro importante è preparare tutto il materiale occorrente per l’invernamento definitivo che almeno in montagna dovrà essere fatto entro la fine del mese. Le arnie non vanno assolutamente imbottite all’esterno, bastano i fianchi all’interno e il tetto; non vanno coperte con zinchi, travi e sassi, poichè non servono a niente se non a creare difficoltà alle prime visite primaverili quando le api non devono essere disturbate. È molto utile una tettoia ma ancora meglio è avere arnie ben costruite e lasciate all’aria libera nei prati: vedrete a primavera che questi alveari saranno i più forti e i più sviluppati; sono anni che il sottoscritto osserva questo particolare.
Se nel tardo autunno ci sono famiglie orfane e non si hanno regine di scorta, è meglio unirle ad altre anche se sono forti, altrimenti fanno le fucaiole o si spopolano con grande rapidità. Un apicoltore che si ritiene tale deve in avvenire abituarsi ad allevare regine e averne sempre qualcuna di scorta; anche questo è un mezzo di lotta contro la Varroa in quanto regine giovani e prolifiche danno forza alle famiglie. Se si scambiano inoltre celle reali con altri apicoltori (naturalmente con famiglie sane) si rompe anche la consanguineità ottenendo api più vigorose che ci garantiranno un buon raccolto.
Perciò forza e coraggio che l’apicoltura, se operiamo bene e nel rispetto delle leggi della natura e se seguiamo i consigli di chi ha lunga esperienza, non è ancora perduta e potremo godere dei dolci frutti che le nostre amiche api ci donano.
Pietro Francescatti