Noi possediamo la migliore razza di ape del mondo: l’Apis mellifera Ligustica Spinola. Un vero e proprio patrimonio nazionale evolutosi in migliaia di anni. La sua origine, ora è certo, è africana. Essa uscì dal continente di origine nello spazio tra due glaciazioni, quando il clima era temperato-caldo, riuscendo a raggiungere addirittura le zone più settentrionali del nord Europa. Con l’avvento di una nuova glaciazione, l’areale si ridusse drasticamente. Le api presenti nella nostra penisola, restarono “intrappolate” a nord dalle Alpi, e tutt’intorno dal mare. Nel corso de millenni, la selezione naturale, permise all’ape italiana di perfezionare le sue spiccate caratteristiche di mansuetudine, prolificità, produttività ed adattabilità alle condizioni climatiche, predisponendola ad un’apicoltura razionale.
E’ interessante ricordare che già nel 1916, Vincenzo Asprea, citava apicoltori che spedivano api regine negli Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Austria, Russia, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Africa. E’ già allora, raccomandava di non introdurre mai api regine da altri paesi, “per non guastare la migliore razza del mondo!” E il premio nobel, l’ entomologo Karl Von Frish, nel 1958, scriveva all’apicoltore Elvio Tortora per ringraziarlo delle 4 api regine che gli aveva spedito.
Gli australiani, che di razze di api ne avevano provate diverse, quando conobbero le regine italiane, le “api bionde”, per la colorazione del primo tratto dell’addome, se ne innamorarono immediatamente, nominandola “Ape d’oro”. I selezionatori italiani, cercarono di assecondarli, selezionando api regine leggermente più gialle. L’ape ligustica italiana è ancora oggi la preferita dagli australiani, interessando il 70% del patrimonio apistico.
Invece qui da noi, sta correndo un pericolo gravissimo!
Oltre alla Varroa, è minacciata dal rischio ibridazione, che ne sta erodendo la purezza genetica. E come la Varroa , è un danno inflittole dal genere umano.
Ecco perché dobbiamo impegnarci per salvare la nostra ape, allevando e selezionando in purezza le api regine per il nostro allevamento. Basterebbe questo impulso per spingerci ad intraprendere l’attività di apicoltore, al dì là delle produzioni di miele, polline, pappa reale……
E vorrei che l’importanza ecologica, economica e sociale, fosse ben chiara.
“La regina non è la regina dell’alveare nel senso normalmente inteso: essa non dà ordini, ma si trova sottomessa allo spirito che regna nell’alveare.” Maeterlink
Infatti il concetto di Ape Regina è completamente da ribaltare. L’Ape Regina è, forse, la più laboriosa delle operaie; la più operaia delle operaie, e oserei definirla, addirittura la schiava delle sue operaie!
Lei accetta compiti ed incarichi pesanti. Il proverbio: “Un ape da sola, non è un’ape” vale anche per lei.
Fuori dall’alveare, da sola, non è nient’altro che un’ape. Poco e nulla, peraltro facilmente spendibile. L’Ape regina come superoperaia quindi; ma è lei stessa ha contraddirmi.
Quando abbandona l’alveare per la sciamatura o per il volo nuziale, per quello che tanti testi descrivono come “il matrimonio della regina con il sole, con la luce”, per lei è un vero proprio salto nel buio, una sortita pericolosa, piena di insidie ed incognite. Tralasciando per un attimo la sciamatura, che rappresenta il modo più semplice di produrre in proprio Api regine, vorrei soffermarmi sul volo nuziale.
Poco prima di involarsi, la regina vergine si è fatta una bella pubblicità. Con i suoi feromoni ha richiamato fuchi da distanze notevoli. Si fa attendere come una primadonna, poi rispondendo all’imperativo della natura, all’istinto di sopravvivenza affronta l’ignoto. Volerà per circa 18 minuti, percorrendo da 1 a 2,5 km, in una fascia area ben definita, tra i 15 e i 20 metri, seguita da uno sciame di fuchi che ignoreranno regine che voleranno sopra o sotto questa quota. I fuchi si sono ben allenati per questo compito, avendo arieggiato per sviluppare i muscoli delle ali negli alveari di provenienza. Si accoppierà con più fuchi , che moriranno una volta compiuta l’impresa, perché altro non sono che spermatozoi con le ali.
Al rientro nell’alveare, accade qualcosa di meraviglioso. Le operaie, non riconoscendola per i tanti “odori” lasciategli dai maschi e per la sovrabbondanza di feromoni che la ricoprono, la identificano come un intruso e tentano di ucciderla. Cercano ripetutamente di girarla sul dorso per bloccarla e soffocarla. Lei allora, appesa tra la vita e la morte, per un attimo chissà quanto lungo per lei, soffoca, letteralmente soffoca. Deve trovare nelle ultime forze, la voce per urlare il suo rango, il suo attaccamento alla vita e a quella dell’alveare. Soltanto allora le compagne la riconosceranno, e forse in quel momento, la acclameranno Regina. Il superorganismo dell’alveare è di nuovo vitale, funzionante, sano. Nel suo riprender fiato per tornare alla vita, l’Ape regina aspira aria così violentemente da distendere l’addome, assicurando ossigeno agli ovarioli e agli spermatozoi. Silenziosamente le operaie la osservano, e se non ha incamerato un numero sufficiente di spermatozoi, almeno 80-90 milioni, pensano già alla sua sostituzione. In 24 ore il numero degli spermatozoi si ridurrà, forse selezionandosi, ad appena un 10%. La spermateca della regina è di appena un millimetro e due micron. Comunque sufficiente ad assicurarle una carriera riproduttiva di 5 anni. Il massimo dell’efficienza produttiva si ha nei primi 2 anni, per decrescere dal terzo.
C’è un’altra notizia sulla quale desidero soffermarmi.
Le api possiedono un cervello enorme per la loro specie: circa 1 milligrammo.
Io penso che abbiano anche un grande cuore. E non nel senso di muscolo pompante, ma del cuore astratto, in cui riponiamo sentimenti importanti come l’amore.
Perché di fronte a un numero innaturale di celle reali e larvette friganti, l’istinto razionale delle nutrici viene meno e ha prevalere è l’istinto materno. Potrebbe facilmente mantenere le poche cellette di cui l’alveare potrebbe aver bisogno ed eliminare tutte le altre. Non ci pensa nemmeno, e dedica cure, affetto, cibo ed attenzioni per allevarle tutte. E permettere a noi di disporre di un nutrito numero di future regine.
Perché allevare Api regine?
Torniamo al grave problema dovuto all’ibridazione del nostro glorioso patrimonio apistico.
Alcuni tra i più ricercati e ben remunerati mieli monoflorali come quello di acacia provengono da fioriture molto precoci, che anticipano la primavera e avvengono quando le nostre colonie stanno risvegliandosi dall’inverno, sono ancora un po’ pigre e la regina non ha ancora iniziato a deporre. Agli apicoltori professionisti, in genere nomadisti, che impegnano ingenti energie per inseguire le fioriture, servono raccolti sicuri, quindi famiglie forti, già avviate al raccolto e regine in piena ed efficiente deposizione, che ottengono importando regine dall’estero, da luoghi dove la stagione è ben più avanzata. Senza nessun riguardo per la razza della regina. Regina che produrrà fuchi, i quali fecondando le nostre regine, genereranno incroci. Regine non autoctone a basso costo e valore genetico, sono importate per formare sciami artificiali o famiglie, vista l’attuale grande richiesta.
E non sottovalutiamo poi la possibilità di importare insieme alle regine, anche possibili, gravi malattie. Purtroppo gli esempi non mancano.
Per essere certi di voler allevare api della nostra razza, l’ Apis Ligustica Mellifera, di alto valore genetico, o di volerne ripristinare la purezza genetica, la scelta è obbligata: dobbiamo produrre in azienda le nostre regine. Questo ci permetterà di lavorare con api dal valore genetico certo, di valutarne le caratteristiche e selezionarne alcuni importanti caratteri.
L’appartenenza o meno alla razza ligustica è possibile soltanto con analisi morfometriche di laboratorio.
Tenendo sempre ben a mente che “allevare regine è facile, difficile è produrne delle buone”, analizziamo i caratteri peculiari della ligustica che più ci interessano:
– 1) Rendimento delle colonie. (Quanto producono e consumano)
– 2) Resistenza alle malattie e comportamento igienico
– 3) Buon invernamento e buona ripresa primaverile
– 4) Docilità
– 5) Buona tenuta del favo
– 6) Valutazione dell’ovodeposizione
– 7) Propensione alla sciamatura
Necessario quindi poter raccogliere, disporre e analizzare dati. D’obbligo l’utilizzo di schede. Calibrarsi sulle valutazioni.
RENDIMENTO DELLE COLONIE
Partendo da famiglie pareggiate in inverno valuteremo: l’estensione e qualità della covata e delle scorte; quantità di miele prodotto; i telai di miele e di covata. All’invernamento, valuteremo il numero di favi coperti di api e quantità di scorte presenti, e l’efficacia dei trattamenti antivarroa.
RESISTENZA ALLE MALATTIE E COMPORTAMENTO IGIENICO
Riguarda lo stato di salute monitorato nel tempo e la velocità delle api di risolvere situazioni a rischio.
INVERNAMENTO E RIPRESA PRIMAVERILE
DOCILITA’
Dipende dall’andamento della stagione; dalle condizioni di visita; dal patrimonio genetico e dalle botti nature su particolari varietà di fiori.
Quando non si sforzano per raccogliere nettare, ad esempio sui fiori di acacia, le api sono molto docili; le stesse api su fiori difficili, come il castagno, sono molto nervose e quindi aggressive. Condizione analoga nei periodi di siccità, quando il raccolto è veramente scarso.
Sembra ormai accertato, però, che le api più aggressive siano anche le migliori produttrici di miele e le più resistenti alle malattie.
TENUTA DEL FAVO
Variabile legata allo sviluppo e alla docilità. Da ricercare l’ottima copertura dei favi e della covata; e che non abbandonino il favo durante le visite.
DEPOSIZIONE, PROGRESSIONE E RACCOLTO
La corretta suddivisione del telaino da nido durante il raccolto: la mezzaluna superiore di miele, le scorte di polline, lo spazio per la covata, e giustamente il miele nel melario! Le costruzioni “da legno a legno”, spesso vantate dagli apicoltori, e probabilmente favorite dall’impiego di razze ibridate, possono essere sicuramente utili nei periodi di pieno raccolto, ma pongono a rischio le colonie al diminuire delle fioriture.
La progressione della covata dalla ripresa primaverile all’invernamento. Le famiglie forti, dall’inizio della deposizione dovrebbero progredire di un telaino di covata (già costruito), a settimana, possibilmente senza arresti. Ci sono, ad esempio, fioriture ricche di nettare, molto attraenti come il girasole, che potrebbero indurre le bottinatrici a tralasciare la raccolta del polline: miele ovunque e covata ridotta con conseguente riduzione della popolosità della famiglia.
La deposizione dovrebbe seguire le fioriture, ed esaurirsi col finire delle stesse. Regine ibridate invece, potrebbero continuare a deporre anche oltre la fine del raccolto, mettendo a repentaglio la sopravvivenza delle famiglie.
SCIAMATURA
Tendenza negativa selezionata nel tempo in apiari non razionali: bugni villici, “cupi”, porzioni di trono, coppi…., senza telaini mobili e con la necessità di uccidere la famiglia madre e mantenere le famiglie figlie.
Per concludere, l’Apis mellifera mellifera è la più fedele alle fioriture importanti: ne segue cioè tutto il ciclo, dall’inizio alla fine senza abbandonarla mai. La sua fedeltà è ben oltre il 90%!
E per finire, vorrei faceste vostra questa massima:
“SALVARE UNA RAZZA, NON E’ COME SALVARE UNA VITA : E’ SALVARE LA VITA STESSA!”
Abbiate sempre cura delle vostre api. Grazie!
Roberto Ferrari