lunedì , 9 Settembre 2024
l'alimentazione delle api

L’alimentazione artificiale delle api

In commercio vi sono parecchi prodotti per alimentare le api. L’apicoltore deve essere in grado di formulare un giudizio e quindi di operare una scelta in merito alla maggiore o minore validità dei singoli prodotti. Fornire elementi in proposito è lo scopo del presente articolo. L’alimentazione artificiale delle api deve differire il meno possibile dall’alimentazione naturale. Su questa affermazione, sia pure espressa in termini diversi, concordano tutti gli studiosi e gli esperti del settore.

L’alimentazione naturale delle api è rappresentata dal miele e dal polline. Il polline è la sorgente delle proteine necessarie allo sviluppo e alla formazione dell’ape, dallo stadio di uovo a quello di insetto adulto. Componente fondamentale della gelatina, reale e non, il polline è da considerare il tipico alimento delle larve. Il miele è un composto prodotto dall’ape attraverso una complessa elaborazione del nettare: esso rappresenta il tipico alimento dell’ape adulta. E’ dunque il miele a costituire il naturale termine di confronto di un idoneo alimento artificiale dell’ape.

Il riferimento al miele per valutare la composizione ideale del prodotto alimentare artificiale ci sembra legittimo, anche se, in realtà, l’ape si alimenta abitualmente con “miele immaturo” o con “miele diluito”. Infatti, l’ape adulta attinge il nutrimento dalla sua stessa borsa melaria che sappiamo contenere miele immaturo che proviene, per le api bottinatrici, dal nettare raccolto nei campi e, per le api di casa, dal miele (immaturo) ricevuto dalle prime. Solo in via secondaria e in condizioni di necessità le api ricorrono al miele stivato negli alveoli del loro nido. Ed è logico pensare che, trattenuto in un primo momento dalla borsa melaria, il miele maturo, disidratato, venga ivi diluito (quindi trasformato, in un certo senso, in miele immaturo) prima di passare nello stomaco dell’insetto e di essere assimilato.

Queste considerazioni sono utili ai fini delle modalità di somministrazione dell’alimento, in rapporto all’epoca e agli scopi della stessa. Per una corretta valutazione dell’alimento artificiale “ideale” più semplice e pratico far riferimento al miele maturo. Prendiamo allora in considerazione la composizione e i caratteri organolettici del miele quale viene estratto dal melario.

Gli zuccheri
L’alimentazione artificiale delle apiE’ qui necessario premettere una breve digressione per precisare che cosa si intende per zucchero. Il chimico, grosso modo, chiama zuccheri tutte quelle sostanze formate da una o più molecole aventi, la formula chimica C6H12O6. Gli zuccheri costituiti da una sola di tali molecole, sono chiamati monosaccaridi, come il glucosio e il fruttosio (presenti nella frutta), come il galattosio ed altri. Gli zuccheri costituiti da due molecole sono i disaccaridi come, ad esempio, il saccarosio: il comune zucchero da cucina; sono disaccaridi il maltosio, il lattosio, ecc. Gli zuccheri costituiti da tre molecole sono i trisaccaridi; e così via fino ai polisaccaridi, costituiti da molte o moltissime molecole di C6H12O6 (le maltodestrine, l’amido, la farina sono essenzialmente dei polisaccaridi).

Composizione chimica e caratteristiche organolettiche del miele
Torniamo al miele ed alla sua composizione. In 100 g di miele vi sono in media circa 78 g di zuccheri vari (12 tipi di zuccheri e forse più !). Di essi la maggior quantità (circa 60 g) è rappresentata da due monosaccaridi, il glucosio e il fruttosio; seguono due disaccaridi, il maltosio (4-8 g) ed il saccarosio (1-2 g). Altri zuccheri disaccaridi e trisaccaridi, sono presenti nel miele in piccolissime, trascurabili quantità. Non sono mai presenti zuccheri più complessi (polisaccaridi).

Oltre agli zuccheri, il miele è composto da proteine (aminoacidi). in percentuale assai modesta (al massimo 0,2 g), provenienti dal polline: pur in dosi così ridotte, esse sono sufficienti ad assicurare il fabbisogno proteico dell’ape adulta. Ricordiamo, ancora, la presenza nel miele di sali minerali, vitamine, enzimi, pigmenti, aromi, tutti in quantità infinetesimali e – diciamolo subito – trascurabili, per varie considerazioni, ai fini della composizione e della valutazione dell’alimento artificiale. Importante è, invece, nel miele il quantitativo di acqua (18-20 g su 100), nella quale sono disciolte o sospese tutte le sostanze sopra indicate. Infine bisogna considerare l’acidità del miele, valutata intorno a pH 4 (± 0,5): essa è essenzialmente dovuta alla presenza dell’acido gluconico, prodotto dell’ape per azione di un enzima operante sul glucosio.

Oltre alla composizione chimica bisogna considerare i caratteri organolettici del miele naturale fresco: esso si presenta come un liquido viscoso, semitrasparente, di colore variabile dal bianco-dorato al giallo più o meno carico, al brunastro, di odore e sapore caratteristici. E’ noto che il miele, raccolto ed invasettato, può modificare le sue caratteristiche organolettiche. Specialmente allorché la temperatura esterna si abbassa, può “cristallizzare”, per cui diventa opaco, granuloso ed aumenta notevolmente di consistenza. Ciò non significa affatto che il miele cristallizzato abbia un valore alimentare per l’uomo inferiore o diverso da quello non cristallizzato: anzi spesso la cristallizzazione è indice di genuinità. Ma nell’arnia il miele, di regola, non cristallizza (fanno eccezione alcuni mieli come quello di tarassaco): per le api la cristallizzazione rappresenterebbe una modificazione negativa, ai fini dell’alimentazione, in quanto esse devono rielaborarlo, ridiscioglierlo, prima di poterlo assimilare.

D’altra parte gli studiosi hanno constatato che la cristallizzazione, oltre che con la temperatura, è in relazione con la percentuale di acqua contenuta nel miele e, soprattutto, con il rapporto quantitativo dei due monosaccaridi che maggiormente entrano nella composizione del miele: la cristallizzazione è cioè, espressione della composizione chimica del miele. In esso il rapporto quantitativo dei principali costituenti fruttosio-glucosio-acqua è, abitualmente, tale da ostacolare la cristallizzazione.

Appare quindi ovvio tener conto anche, nella valutazione del prodotto alimentare ideale, sia del tipo di sostanze che lo compongono, sia del fenomeno della cristallizzazione. Anzi, a ben riflettere quest’ultimo fenomeno può rappresentare un fondamentale criterio-guida nel giudizio di validità dell’alimento artificiale. Infatti, dalle considerazioni suesposte si desume che il rapporto chimico sopra considerato se sarà nel prodotto artificiale tale da ostacolare la cristallizzazione in analogia a quello riscontrato nel prodotto naturale, indicherà in primo luogo che l’alimento artificiale ha costituenti zuccherini eguali a quelli principalmente contenuti nel miele. Garantirà inoltre la giusta proporzione quantitativa tra componenti stessi e l’acqua di soluzione; infine assicurerà qualità organolettiche ideali in quanto la cristallizzazione – come nel miele – risulterà ostacolata. In altre parole, l’alimento artificiale ideale deve essere una soluzione con gli stessi costituenti tipicamente presenti nel miele; deve avere questi componenti in rapporti percentuali, tra loro e con l’acqua di soluzione, analoghi a quelli del prodotto naturale; deve infine possedere le stesse qualità organolettiche del miele dell’arnia: tutte queste condizioni si riflettono e, per così dire, si compendiano nel fenomeno della cristallizzazione.

Caratteristiche di un valido alimento per api
Gli studiosi hanno approfondito l’argomento ed accertato che detto fenomeno è legato al valore di tre rapporti: Fruttosio/Glucosio; Glucosio/ Acqua; Glucosio-Acqua/ Fruttosio.

Hanno constatato che, al fine di impedire la cristallizzazione, il primo rapporto (Fruttosio/Glucosio) deve avere un valore uguale o superiore a 1,6, che il secondo rapporto (Glucosio/Acqua) deve essere uguale o inferiore a 1,7, che il terzo rapporto (Glucosio-Acqua/Fruttosio) deve essere inferiore a 0,3. In armonia con questi studi, analizzando vari tipi di miele, si è visto che rimanevano allo stato fluido, senza cristallizzare (anche se posti all’esterno del glomere invernale, in zone fredde dell’arnia), quelli aventi i tre rapporti considerati ai valori sopra riferiti: sono ovviamente i migliori mieli di scorta. E’ quanto si riscontra ad esempio nei mieli di acacia e di castagno, nei quali il rapporto Fruttosio/Glucosio è di 1,26 ed i rapporti Glucosio/ Acqua e Glucosio-Acqua/Fruttosio sono inferiori rispettivamente a 1,7 e 0,3. E’ legittimo sostenere che i valori dei rapporti sopra riferiti devono essere rispettati anche nell’alimento artificiale ideale, affinché esso differisca il meno possibile dall’alimento naturale.

Riassumendo: i principali costituenti dell’alimento artificiale devono essere il fruttosio, il glucosio e l’acqua; i due primi componenti siano presenti nella quantità complessiva di 60-65 g e l’acqua alla dose di 15-20 g su 100 di prodotto; i reciproci rapporti quantitativi siano tali da non indurre cristallizzazione, cioè vengano rispettati i valori dei tre rapporti considerati (ad esempio con 35-37 g di fruttosio e 26-28 g di glucosio). Soltanto a queste precise condizioni il prodotto artificiale potrà essere paragonabile al miele, per la sua composizione qualitativa, per i rapporti quantitativi dei suoi componenti principali, per le sue proprietà organolettiche.

Un altro fattore importante nell’alimento artificiale è il pH, cioè l’acidità: come nel prodotto naturale la soluzione Fruttosio-Glucosio deve avere un pH di 4 (± 0,5). Ciò può essere ottenuto con l’aggiunta di acido citrico o di acidi tartarico o acetico; nei migliori alimenti l’acidità è ottenuta addizionando opportune dosi di acido gluconico, lo stesso responsabile dell’acidità del miele.

Non vanno poi dimenticati i ridottissimi quantitativi di sostanze proteiche presenti nel miele (circa 2/1000) e che s’identificano con il polline. A questo proposito è da chiedersi se conviene di più un alimento artificiale contenente all’origine questi minimi contenuti pollinici o se non sia preferibile aggiungere di volta in volta (e quando se ne ravvisi l’opportunità) piccole dosi di polline ad un preparato privo di sostanze proteiche. Noi optiamo per quest’ultima soluzione, per vari motivi (tra cui, non ultima, la possibilità di più facile e sicura conservazione del prodotto alimentare). Sceglieremo pertanto un alimento artificiale privo all’origine di sostanze proteiche e provvederemo eventualmente all’aggiunta estemporanea di modesti quantitativi di polline. Quello locale, raccolto con facilità dall’apicoltore stesso, garantirebbe meglio un contemporaneo arricchimento in vitamine ed in oligoelementi, così da completare sotto tutti gli aspetti il valore nutritivo dell’alimento artificiale.

L’alimentazione artificiale delle apiIl lettore avrà notato anche che in questa disanima è stato finora trascurato un importante disaccaride del miele, il saccarosio (con il suo affine, il maltosio). Esso merita invece un discorso tutto particolare. Infatti, è il comune zucchero da tavola, lo zucchero per eccellenza, quello a più larga disposizione: esso è presente nel miele in quantità non trascurabili (assieme al maltosio, dall’ 1-2% fino all’ 8 – 9 %); non influisce praticamente sul processo di cristallizzazione, quindi non interviene nelle proprietà organolettiche del miele. E’ lo zucchero abbondantemente presente nel nettare, cioè nella materia prima che le api utilizzano per fare il miele. E’, in pratica, ancora largamente usato e suggerito (sciolto, sic et sempliciter, in acqua) come alimento per le api.

Dunque, per validi motivi, il saccarosio può entrare di diritto nella composizione di un prodotto alimentare per le api, tanto più che esse sono naturalmente capaci di elaborarlo e trasformarlo. Tuttavia l’elaborazione e trasformazione del saccarosio, impegnano notevolmente l’ape, anche quando sarebbe invece opportuno esonerarla da tale oneroso lavoro. Si pensi alla notevole produzione di enzimi che esso richiede e che, sintetizzati dall’ape, inevitabilmente la depauperano e la indeboliscono. Si impone quindi una motivata limitazione all’impiego del saccarosio: in altre parole, saccarosio si, ma non troppo e, a maggior ragione, non esclusivamente.

E’ poi da ricordare che il contenuto di saccarosio rende la soluzione alimentare dell’ape più appetibile: non così appetibile come il miele che con i suoi delicati ed irripetibili aromi eccita le api in modo tale da indurle al saccheggio (motivo fondamentale per cui il miele è del tutto sconsigliabile come apporto alimentare artificiale), ma neppure così poco allettante come lo sarebbe una soluzione di soli fruttosio e glucosio.

E’ da considerare ancora un duplice aspetto economico. Anzitutto il saccarosio, il comune zucchero, usato nell’ alimento artificiale per ottenere il quantitativo globale di zuccheri (circa il 78%, dei quali al massimo il 68% rappresentati da fruttosio e glucosio), riduce il costo dell’ alimento stesso perché è molto meno costoso del fruttosio. Inoltre un contenuto relativamente elevato di saccarosio rende la soluzione alimentare artificiale inadatta ad essere miscelata con il miele a scopi di sofisticazione, come in effetti, purtroppo talvolta succede: è questo un aspetto non trascurabile per l’onesto apicoltore che sa quanto vale il suo genuino prodotto e ben a ragione vuole sia offerto sul mercato con ogni garanzia di purezza.

In definitiva, in base a tutte le precedenti considerazioni, si considera ottimale un contenuto di 15-20 g di saccarosio su 100 g di prodotto. Si considerano, infine e senza tema di smentita, sicuramente trascurabili, quali eventuali componenti dell’alimento artificiale per le api gli altri zuccheri di e trisaccaridi, presenti, come è stato detto, nel miele in quantità modeste e di fatto trascurabili.

Conclusioni
Riteniamo di aver esposto in modo obiettivo e con sufficiente scrupolosità scientifica i concetti-guida da tener presenti nella valutazione di un prodotto alimentare per le api. L’apicoltore sa, ora, quali componenti e quali requisiti deve avere il preparato più adatto alle sue api. A questo punto può porsi varie domande e formulare consapevoli risposte.

Quanto è accettabile un relativo maggior contenuto di acqua, cioè maggiore diluizione dell’alimento? E’ ammissibile la presenza di polisaccaridi? Essi hanno proprietà stabilizzanti ed inibiscono la cristallizzazione; assicurano cioè caratteri organolettici simili a quelli del miele, anche a rapporti fruttosio-glucosio-acqua molto diversi: ma nel miele i polisaccaridi non sono mai presenti! Quali le possibili conseguenze sul metabolismo e sulla vita dell’ape di un nutrimento con zuccheri per qualità e per rapporti quantitativi diversi da quelli del suo naturale millenario alimento? Quale composizione hanno gli “idrolizzati di mais” o loro derivati che pure entrano nella composizione di vari prodotti? Soddisfano ai concetti che sono stati esposti? Questi e altri interrogativi deve porsi l’apicoltore che ama le proprie api, vuole l’alveare forte ed intende produrre miele buono ed abbondante. Se terrà presente quanto scritto, sarà in grado di orientarsi tra gli svariati prodotti. in commercio e non si lascerà condizionare dalla pubblicità non sempre obiettiva. Potrà insomma giudicare con sufficienti cognizioni e scegliere al meglio.

Testolin Enrico
Fabbris Franco
Fonte: Apitalia anno XII n. 23

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